Il presidente Obama lo ha definito il più grave incidente nella storia degli Stati Uniti. Per cinque mesi la marea nera fuoriuscita dalla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon ha tenuto il mondo con il fiato sospeso, con conseguenze disastrose per l’industria petrolifera, la pesca e il turismo. Cambiando inoltre per sempre il nostro modo di concepire le risorse energetiche presenti sul pianeta.



L’ESPLOSIONE DELLA PIATTAFORMA – L’impianto di trivellazione Deepwater Horizon, gestito dalla società Transocean legata da un contratto alla British Petroleum, ha preso fuoco esplodendo il 20 aprile scorso nel golfo del Messico, al largo del delta del Mississippi. Provocando una fuoriuscita di petrolio sul fondo del mare che è proseguita fino al 15 luglio. Solo fino al 26 giugno la marea nera è stata pari a oltre 4 milioni di barili, cioè ben 644 milioni di litri. Il primo tentativo di fermare la fuoriuscita di petrolio è stato quello di utilizzare sottomarini radiocomandati per chiudere gli otturatori delle valvole all’estremità del pozzo.



LA CUPOLA DA 125 TONNELLATE – Fallito questo piano, si è ipotizzato di piazzare una cupola di contenimento da 125 tonnellate (che aveva funzionato per le perdite nelle acque meno profonde) sul punto della fuoriuscita e aspirare il petrolio in un serbatoio sulla superficie. Ma anche questo tentativo è fallito dopo che l’esalazione di gas dalle condutture, mescolandosi con acqua fredda, ha formato cristalli di ghiaccio sulla cupola bloccandone l’apertura sulla cima. Vani anche i tentativi di chiudere il pozzo pompando fluidi pesanti negli otturatori per restringere il flusso di petrolio prima di sigillarlo completamente con il cemento.



IL SUPERASSORBENTE SHAMWOW – A quel punto si sono scatenate le proposte più bizzarre, provenienti da tutto il mondo, nel tentativo disperato di fermare la marea nera. Come quella di creare barriere di capelli umani per filtrare il petrolio lasciando passare solo l’acqua. Con un vero e proprio appello rivolto a «barbieri, parrucchiere, allevatori di pecore e a tutti i privati cittadini, perché donino capelli, pellicce, scarti di lana, tosature e nylon». Un tedesco ha invece suggerito di ricorrere alla spugna superassorbente ShamWow, realizzando un rettangolo delle dimensioni di un campo da calcio e attaccandolo con una spoletta gigante a una petroliera. Tra le altre idee un grosso telone, di materiale ultra resistente, fissato con dei pesi sul fondale, e addirittura palline da golf per otturare il pozzo o un tappo conico gigante in acciaio con filettatura e annessa valvola di tiraggio. Mentre i russi hanno suggerito addirittura di sparare una bomba atomica sui fondali sottomarini.

IL PIANO STATIC KILL – Fortunatamente non è stato adottato nessuno di questi metodi, e si è pensato invece di inserire un tubo nella larga fenditura da cui fuoriusciva il petrolio. Un tappo a forma di rondella tamponava l’estremità della conduttura aspirando il flusso della marea nera. Il gas era bruciato e il petrolio raccolto a bordo della nave di perforazione Discoverer Enterprise. Il 15 luglio si è riusciti a bloccare le perdite sottomarine e il 3 agosto è iniziata quindi l’operazione Static Kill. L’idea elaborata dagli ingegneri di BP è stata quella di iniettare nel pozzo una mistura di fango e cemento, in modo da dirottare il petrolio in un bacino sotterraneo situato a 4mila metri di profondità, dove la pressione degli idrocarburi ha trovato finalmente uno sfogo. Il 19 settembre si è deciso quindi di cementificare definitivamente il pozzo.
 

400 SPECIE MINACCIATE – Anche se è ovvio che le conseguenze sull’ambiente continueranno ancora per molti anni. Non a caso il presidente americano Obama ha definito quello della Deepwater Horizon «un disastro ambientale senza precedenti». La marea nera ha infatti messo a rischio otto parchi nazionali Usa e 400 specie animali delle isole e delle aree umide del Golfo. Minacciati di estinzione quattro tipi di tartarughe: la Kemp’s Ridley, quella verde, la caretta caretta, quella embricata e quella liuto. Nelle riserve naturali a rischio vivono 34mila uccelli, tra cui gabbiani, pellicani e aironi azzurri. Fino al 13 agosto scorso sono stati raccolti 4.678 animali morti, tra cui 4.080 uccelli, 525 tartarughe marine, 72 delfini e un rettile.

BP, SOCIETA’… IN PERDITA – Per riuscire a tamponare la marea nera, la BP ha già speso 3 miliardi e 120 milioni di dollari. E secondo l’Ubs, il costo finale potrebbe essere pari a 12 miliardi. Solo in maggio, a distanza di un mese dal disastro, il valore complessivo della BP si era già ridotto del 35%, con una perdita totale di 60 miliardi di dollari. Particolarmente colpita la Louisiana, dove l’industria del petrolio dà lavoro a 58mila residenti e ha creato un indotto da 260mila lavoratori, pari al 17% degli occupati della Louisiana. La BP ha concordato di stanziare 100 milioni di dollari per pagare i propri dipendenti rimasti disoccupati per la moratoria di sei mesi alle trivellazioni nel Golfo del Messico.

I DANNI PER LA PESCA – A essere pesantemente danneggiata è stata anche la pesca, che solo in Louisiana, secondo il sito suite101.com, è un settore del valore di 1,8 miliardi di dollari e dà lavoro a 90mila persone. Fornendo un terzo delle ostriche raccolte negli Usa e un quarto di tutto il pesce a livello nazionale. Ma anche in Mississippi e Alabama, altri due Stati del Golfo del Messico, la pesca è molto importante. E un altro danno economico significativo è stato inferto anche al turismo, il cui valore nel Golfo del Messico è pari a ben 20 miliardi di dollari. Solo in Louisiana i turisti ogni anno sono circa 24 milioni, con una spesa di 8,5 miliardi di dollari e 100mila residenti occupati nel settore.

UNA NUOVA POLITICA ENERGETICA – Ma come ha spiegato Klaus Toepfer, direttore del programma ambientale dell’Onu, intervistato dal sito web Deutsche Welle, il disastro della Deepwater Horizon nel lungo periodo potrebbe avere anche una ricaduta positiva, rivoluzionando la politica energetica dei Paesi occidentali: «La prima e più importante conseguenza è la seguente: ci siamo resi conto che dobbiamo fare il possibile per sviluppare ulteriormente nuove risorse energetiche meno rischiose. Se continuiamo a fare affidamento sui carburanti fossili, soprattutto sul petrolio, dobbiamo riconoscere che i frutti sono già maturi e che dovremo gestire situazioni sempre più rischiose e costose. E’ arrivato il momento di sviluppare ulteriormente le energie rinnovabili utilizzando sole, vento, biomasse e geotermico, oltre a nuove risorse energetiche come la potenza delle onde. Dobbiamo renderci conto che il sogno del petrolio a basso prezzo è definitivamente tramontato».

(Pietro Vernizzi)