Già all’inizio di agosto un editoriale sul quotidiano cileno “La Segunda” preannunciava “Il più grande reality della storia”. Il quadro è quello della dramma dei minatori cileni intrappolati il 5 agosto scorso a 700 metri di profondità a causa del crollo di uno dei pozzi della miniera di San Josè, situata a 45 chilometri a nord della città di Copiapò e a 800 da Santiago del Cile. Sessantanove giorni di attesa e speranze, e migliaia di riflettori puntati sui 33 uomini che attendevano di potere rivedere la luce. Dramma però accompagnato da un lavoro di aiuti e soccorsi non indifferente, che ha avuto il felice esito di fare ricongiungere i minatori alle proprie famiglie molto prima dei tempi previsti.



LA VITA SOTTO IL DESERTO – Sono sopravvissuti con quello che dal buco il mondo spediva giù, sotto il deserto di Atacama. Acqua, ossigeno, cibo, assistenza psicologica e fisica, ma anche musica, una fotografia di Elvis, la notizia della nascita della figlia chiamata Esperanza proprio dal nome dell’accampamento allestito dalle famiglie dei minatori. Di sopra, in tutto il paese si è iniziato a gioire dal 22 agosto quando i 33 hanno spedito in superficie un segnale della loro presenza, un pezzo di carta stropicciato con scritto,“Stiamo tutti bene: los 33”.



La vita in quei 69 giorni di attesa è stata rigorosa come in un campo militare. I minatori si sono suddivisi il chilometro e mezzo di galleria, lo hanno tenuto in ordine, pulito, hanno aggiustato le tubature, si sono tenuti in esercizio con ginnastica quotidiana e hanno rispettato una rigida dieta alimentare. L’organizzazione del tempo è stata fondamentale soprattutto per tenere la testa impegnata e per non lasciarsi sopraffare dallo sconforto, “Laggiù c’è stata una dura battaglia tra Dio e il Diavolo”, ha detto uno dei minatori.

LA STRADA VERSO LA SUPERFICIE – E’ dal 19 settembre però che è iniziata la perforazione con la terza trivella, la più potente e tanto attesa Xtra 950, una macchina di 30 tonnellate che è riuscita ad arrivare al rifugio dei minatori. L’efficienza tecnologica è stata fondamentale dal momento che si è dovuto praticare un foro di 66 centimetri su una delle pendici della montagna cercando di evitare smottamenti interni.
 



Qualche giorno più tardi è stata testata la capsula sulla quale sarebbero stati portati tutti in salvo. Le operazioni di salvataggio vere e proprie hanno avuto inizio il 12 ottobre a mezzanotte, le 5 del mattino in Italia. In un silenzio surreale, come degli eroi, sono usciti uno alla volta gli uomini, coperti da fuliggine con occhi e orecchie chiuse per la prolungata permanenza in uno spazio angusto e ovattato. “Ho fatto un turno di 70 giorni, un po’ troppo lungo”, ha scherzato Urzua, l’ultimo dei minatori a uscire dal buco. “Mi congratulo con lei, è stato un ottimo capitano”, gli ha detto il presidente San Josè Piñera che, al termine delle operazioni di soccorso, ha sigillato il pozzo ponendo metaforicamente fine alla vicenda.

IL MEGLIO DEL PAESE – E’ sempre stato in primo piano il presidente Piñera, il discusso politico, che secondo molti, ha tentato di rubare la scena ai 33 veri protagonisti. Si è parlato di sondaggi in ascesa, di una sovraesposizione mediatica senza pari da parte di un governo di destra che ha sfruttato il caso per aumentare la propria popolarità, rimanendo nascosto dietro alla frase diventata lo slogan di questa lunga maratona: “Stiamo facendo vedere il meglio del nostro paese”. Ma si parla anche di una ferita aperta che lascia spazio a interrogativi soprattutto sul problema della sicurezza sul lavoro visto che in Cile il tasso delle morti bianche si aggira intorno al 5,6%.

L’incidente della miniera di San José è stato un tipico caso di negligenza dell’azienda verso i minatori, che adesso dovrà pagare quasi tutte le spese del riscatto, oltre a stipendi, pensioni e indennità. Dopo la tragedia, il presidente Piñera ha annunciato un rapporto completo sulle condizioni di sicurezza dei lavoratori cileni, ma il vero problema é il precariato imposto negli ultimi quindici anni, con un alto turn over e tempi lunghi di ingresso nel mercato del lavoro. Nel frattempo, il Governo cileno ha creato un sito per aiutare i 300 dipendenti della società mineraria San Esteban in bancarotta e ha già messo a disposizione più 1.000 offerte di lavoro.

Riflessioni e domande che difficilmente troveranno a breve risposte. Per ora è ancora forte il ricordo di uomini che chiedono di non essere messi al centro del palcoscenico: “Non trattateci come star”, hanno detto con un filo di voce davanti all’assalto delle telecamere, soffocati dagli abbracci dei parenti.

(Ilaria Morani)