Il 2008 ha decretato il successo di Barack Obama, il 2010 è stato l’anno del suo fallimento. Sia in patria che nei rapporti internazionali, la stella del presidente afro-americano si è offuscata. A documentarlo la sconfitta alle elezioni di Midterm e la classifica degli uomini più potenti del mondo stilata da Forbes, nella quale il presidente cinese Hu Jintao ha scalzato il suo collega a stelle e strisce.
Il 2 novembre si sono tenute le elezioni di Midterm, per rinnovare la Camera e un terzo del Senato degli Stati Uniti. Il partito repubblicano (Gop) ha trionfato alla Camera, pur non riuscendo a strappare la maggioranza al Senato, che è rimasta ai democratici. L’avanzata del Gop si è fatta sentire anche nella battaglia per i governatori, dove ha strappato dieci Stati al partito di Obama. A trainare la vittoria dei repubblicani è stato il cosiddetto Tea Party, un movimento anti-tasse e dal programma fortemente libertario che si è ispirato all’insurrezione di Boston del 1773 contro le tasse imposte dai colonialisti inglesi.
Alla Camera, la speaker democratica Nancy Pelosi ha ceduto il posto al capogruppo repubblicano John Boehner, che Obama ha chiamato per congratularsi: il presidente ha dichiarato di essere «pronto a lavorare con i repubblicani». Il primo punto su cui collaborare, come scrive Orlando Sacchelli su Il Giornale, potrebbe essere la conferma al Congresso dei tagli fiscali decisi da George W. Bush. Alla Camera, le elezioni di Midterm hanno assegnato 240 seggi ai repubblicani e 183 ai democratici: la maggioranza è di 218.
Il Gop (Grand Old Party) ha strappato ai democratici almeno 58 seggi, conquistando vittorie significative in tutti gli Stati Uniti. E’ il più importante spostamento nelle preferenze degli elettori da quando, nel 1994, durante la presidenza di Bill Clinton, i repubblicani conquistarono 54 seggi. Vittorie del Gran Old Party anche nelle corse per i governatori, per lo meno nel centro del Paese: l’Elefantino, simbolo dei repubblicani, prevale nei principali Stati industriali e nel MidWest in Pennsylvania, Iowa, Ohio, Michigan e Wisconsin. Emblematico il fatto che il seggio senatoriale dell’Illinois, dove in passato è stato eletto Obama, è andato ai repubblicani: Mark Kirk ha battuto infatti il democratico Alexi Gianoullias. E a distanza di pochi giorni la sconfitta di Obama alle elezioni di Midterm si è riflessa sul G-20, il forum dei 20 Paesi più industrializzati tenutosi a Seoul, in Corea.
Gli Stati Uniti si sono presentati al vertice del G20 in Corea nell’insolito ruolo di imputati. Una Casa Bianca indebolita non ha potuto sfruttare il palco del G20 per guadagnare punti. E, come scrive l’agenzia Asca, il vertice di Seoul ha rischiato di trasformarsi in un j’accuse all’indirizzo degli Stati Uniti sul terreno economico. L’unico a tendere la mano agli Stati Uniti è stato il presidente cinese, Hu Jintao, che ha auspicato un rafforzamento del dialogo e della cooperazione tra Pechino e Washington.
Ma la mano tesa della Cina non significa che Pechino intenda recedere dalle sue posizioni in materia di cambi e politica economica. Lo stesso Hu Jintao ha usato toni duri respingendo le critiche americane sul mancato apprezzamento dello yuan. Le prime parole di Obama al G20 sono state concilianti e di difesa della politica americana, giustificando le ultime decisioni della Fed sull’allentamento monetario. Ma la spiegazione che non può esserci sviluppo a livello globale senza crescita degli Stati Uniti ha alimentato le critiche verso gli Usa. Difficile per Obama incassare qualche risultato dal vertice di Seoul: la debolezza dell’amministrazione americana non sfugge agli altri partner.
Non e’ un caso che la Corea del Sud abbia puntato i piedi sull’export di auto e carne verso gli Stati Uniti. Anche dall’Europa arrivano critiche a Obama. Il cancelliere tedesco Angela Merkel, particolarmente irritata, prima di arrivare a Seoul ha annunciato che «chiederà spiegazioni» agli americani sulla politica monetaria della Federal Reserve. Ma la Germania ha anche bocciato senza appello la proposta del segretario al Tesoro americano Timothy Geithner di fissare dei tetti sui surplus commerciali. Anche la Gran Bretagna, alleato storico degli Stati Uniti, non si è spesa per difendere Obama. Il premier David Cameron si è limitato a osservare che «c’è molto dare fare per ridurre gli squilibri».
Come scrive sempre l’Asca, «Obama chiede unità di intenti agli altri grandi della terra per favorire la crescita economica ma è finita un’epoca, gli Stati Uniti non possono più dettare le condizioni al resto del mondo. E soprattutto la grande novità nello scacchiere della politica internazionale è che nel mondo c’è diffidenza nei confronti degli Stati Uniti. La fine intelligenza del presidente brasiliano Lula offre la fotografia più nitida della situazione che stiamo vivendo». Lula ha dichiarato infatti che «nessun Paese dovrebbe procedere con decisioni unilaterali». Il 4 novembre inoltre la fase calante di Obama è certificata anche dalla classifica degli uomini più potenti del mondo stilata da Forbes. L’anno scorso il presidente Usa era primo, quest’anno è stato scalzato dal presidente cinese, Hu Jintao.
Sul podio con la medaglia di bronzo si colloca il re dell’Arabia Saudita, Abdullah ben Abdel Aziz. Nella top ten di Forbes seguono il premier russo Vladimir Putin, Papa Benedetto XVI, il presidente tedesco Angela Merkel, il primo ministro britannico David Cameron, il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, la presidentessa indiana Sonia Ghandi e Bill Gates.
(Pietro Vernizzi)