Pescare cadaveri nel Fiume Giallo, in Cina, è una pratica antica. Ma se un tempo era un servizio alla comunità, oggi c’è chi lo fa come lavoro e anche remunerativo.

MORTE PER ACQUA – Attraversata da due dei più lunghi e vasti corsi d’acqua al mondo, il Fiume Giallo (settimo per lunghezza e secondo in Cina) e lo Yangtze (terzo al mondo per lunghezza), la Cina è sempre dipesa da questi fiumi. In tutti i sensi, purtroppo. E’ inevitabile che corsi d’acqua così vasti oltre a portare la vita, portino anche la morte. Così accadeva sin da secoli che i pescatori si imbattessero in cadaveri finiti nell’acqua per i più svariati motivi. Li recuperavano e facevano in modo che fossero restituiti alle famiglie. Era un atto di carità che veniva ricompensato con immensa gratitudine. Oggi invece la pratica del ripescaggio dei cadaveri continua sempre, ma c’è chi per fare questo si fa pagare. E anche bene.



CONDIZIONI DISUMANE – La Cina sta vivendo una trasformazione economica e sociale straordinaria. Un mondo che fino a un paio di decenni fa viveva isolato e con una economia di tipo quasi medievale, ha visto svilupparsi un boom industriale di proporzioni epiche, mai visto in precedenza. Il tutto in un sistema politico che non garantisce se non i minimi diritti civili e sindacali le poche volte che lo fa. Spesso e volentieri non c’è alcun rispetto per la vita umana dei lavoratori, che muoiono per situazioni lavorative al limite del sopportabile, così come l’inquinamento che in Cina raggiunge soglie micidiali. Tutto ciò ha portato ricchezza (per pochi) e condizioni di vita terribili, tanto che la Cina è oggi il paese con il più alto tasso mondiale di suicidi. Non solo: il 26% dei suicidi al mondo si tengono tutti in questo paese. La maggior parte di queste morti sono da addebitarsi alle donne. Soprattutto a quelle provenienti da ambienti di vita rurali, con un forte senso della famiglia e della comunità, che hanno provato a inserirsi in quelli industriali, disumanizzati e solitari. Il risultato è che nelle acque una volta gialle dell’appunto Fiume Giallo, di cadaveri se ne incontrano di continuo.
 



 

 

PESCATORE DI CADAVERI – Wei Xipeng, 55 anni, fa il pescatore di cadaveri. Fino a qualche anno fa raccoglieva pere e altri frutti, poi ha capito che pescare cadaveri era più remunerativo. Ma chi pensa a un cinico affarista, è meglio che sappia la sua storia. L’unico figlio di Xipeng annegò proprio in questo fiume. Ne cercò il corpo a lungo senza mai riuscire a trovarlo. Nel frattempo si imbattè in altri cadaveri cominciando a capire la natura della realtà del suo paese. “E’ il boom economico in Cina ad aver portato tante morti. La gran parte di questi cadaveri sono di persone suicide, oppure assassinate”. Non è solo, Xipeng, a fare questo lavoro, anzi. Ma lui è quello che ha il business più fiorente, se così si può dire. Recupera dagli 80 ai cento cadaveri all’anno. Il pagamento? Varia a seconda delle possibilità di chi cerca il proprio caro. A un contadino, Wei non chiederà più di 75 dollari. A un impiegato ne chiede 300 mentre se è una ditta che sta cercando un corpo, allora si farà pagare anche 450 dollari.



 

Ci sono anche cadaveri che nessuno vuole: “La maggior parte di questi appartiene a donne che venivano dalle campagne. La maggior parte di queste donne vengono assassinate e gettate nel fiume”. Xipeng ha trovato l’angolino giusto per coltivare i suoi affari. Circa una ventina di chilometri a sud di Lanzhou nella Cina nord occidentale in un posto dove una diga e una insenatura fanno sì che i cadaveri vengano in superficie. Li raccoglie, poi li porta in un angolo del fiume attrezzato dai pescatori e li lascia a galleggiare nell’acqua con i volti all’in giù in modo che i loro connotati si preservino e i parenti possano riconoscerli. Ma anche questo business sembra abbia i giorni contati. Alle autorità non piace questo tipo di attività e Xipeng è stato fermato diverse volte: “La polizia mi ha già multato diverse volte, a loro non piace quello che faccio. Non potrò più guadagnare quello che guadagno adesso”.