Dopo il codice Da Vinci, il codice Michelangelo. Che il successo planetario dello scrittore Dan Brown (e dei film tratti dai suoi libri) abbia contagiato anche studiosi, scienziati, critici dell’arte? Oppure davvero i grandi pittori del Rinascimento hanno cercato di lasciare un messaggio, nascosto, un codice cifrato, quasi una sorta di “messaggio in bottiglia” che solo secoli dopo, una volta approdato sulla spiaggia di un mondo maggiormente evoluto, sarebbe stato possibile cogliere? Non lo sappiamo. Anche perché, se è vero che oggi un diverso tipo di curiosità e tecniche di analisi scientifiche permettono di vedere cose che all’occhio nudo dei nostri predecessori del Cinquecento non era possibile, è anche vero che il passaggio temporale così ampio non ci permette di sapere le reali motivazioni dietro questi ipotetici messaggi nascosti nelle opere dei grandi artisti rinascimentali. Solo una intervista impossibile con Michelangelo e Leonardo da Vinci ci permetterebbe di risolvere il dubbio.
L’ultimo caso in ordine di tempo (anche se in realtà già nel 1990 un altro studioso, il medico americano, Frank Mesheberger, era arrivato a tale scoperta) è quello della Cappella Sistina e dell’affresco dipinto da Michelangelo. Frank Mesheberger, allora, in un articolo pubblicato sul Journal of the American Medical Association aveva dichiarato che secondo lui nell’affresco che rappresenta “La creazione di Adamo”, intorno all’immagine di Dio, Michelangelo aveva riprodotto fedelmente l’anatomia di un cervello umano, visto in sezione trasversale. Secondo il medico, l’intento dell’artista era di mostrare come Dio non avesse infuso ad Adamo soltanto la vita, ma anche l’intelligenza. Oggi analoga scoperta viene riportata da altri due studiosi americani, Ian Suk e Rafael Tamargo della John Hopkins University School of Medicine.
Osservando attentamente gli affreschi della Cappella Sistina, avrebbero individuato un “codice” nascosto nel grande dipinto che raffigura la creazione dell’uomo. Un dipinto nel dipinto voluto da Michelangelo per lasciare un messaggio attraverso la sua passione per il disegno anatomico e la sua attenzione maniacale per i particolari del corpo umano. In uno studio pubblicato sull’ultimo numero della rivista Neurosurgery i due spiegano come siano riusciti a individuare nel pannello iniziale dell’affresco, quello che raffigura Dio, il disegno nascosto di un cervello umano.
All’altezza della gola e del collo di Dio il disegno presenta delle irregolarità anatomiche e mentre il resto dei personaggi sono illuminati tutti a sinistra e dal basso, il collo di Dio è illuminato frontalmente. Suk e Tamargo, esperti di neuroanatomia (branca dell’anatomia che studia l’organizzazione anatomica del sistema nervoso) in un lungo e dettagliato articolo continuano da dove Mesheberger si era fermato. Hanno individuato un’altra parte del gigantesco affresco che ricopre la volta della Cappella Sistina, quello della “Separazione della luce dalle tenebre” posto proprio sopra l’altare, e qui avrebbero individuato la rappresentazione dettagliata della colonna vertebrale umana e del midollo allungato che la collega al cervello. L’immagine sarebbe nascosta tra il petto di Dio, e precisamente in una piega della tunica che condurrebbe al nervo ottico, e il suo collo, illuminato frontalmente al contrario del resto dei personaggi.
Un’area che ha da sempre suscitato perplessità tra i critici per le numerose imperfezioni, inusuali per un esperto di luce e di anatomia come Michelangelo, che all’età di 17 anni già sezionava cadaveri dissepolti dai cimiteri per poterli studiare. Sovrapponendo l’immagine della gola alla sezione di un cervello visto dal basso, le due combacerebbero perfettamente. Il dubbio, ora, è se il soffitto della Cappella Sistina sia una sorta di test di Rorshach in cui ciascuno può vedere ciò che vuole o se sia, invece, una sorta di messaggio nascosto nel dipinto che tutti possono vedere. Abbiamo contattato uno dei due studiosi, Rafael Tamargo, per saperne di più su come siano arrivati a questa teoria. “Abbiamo studiato immagini ad alta risoluzione che si trovato su libri e in Rete” ci ha detto il professor Tamargo “concentrandoci sulla seconda metà dell’affresco della Cappella Sistina, quello che si trova sopra l’altare. E’ quella parte di affresco a cui Michelangelo lavorò dall’inverno del 1511 all’ottobre del 1512”.
Essendo i due studiosi profondi conoscitori del cervello umano, ecco balzare ai loro occhi le similitudini con esso: “La nostra idea è che, nel dipinto ‘La separazione della luce dalle tenebre’, Michelangelo abbi concepito una sofisticata immagine ventrale della parte posteriore del cervello riprendendola in quello che nell’affresco è il collo di Dio. E poi la vista anteriore del midollo spinale nel petto di Dio. Infine, nella parte che rappresenta l’addome di Dio, i nervi ottici e i globi ottici”. Una rappresentazione scientificamente accurata? “La rappresentazione delle prime due immagini del cervello, la parte posteriore e il midollo spinale, è scientificamente accurata. Quella dei nervi ottici non lo è, ma è raffigurato secondo i canoni conoscitivi dell’epoca di Michelangelo, basata sui disegni allora contemporanei, di Leonardo Da Vinci”.
Per Tamargo, tutto ciò è solo la conferma dell’enorme genio di Michelangelo e la grandezza della sua conoscenza: “Per noi, è stato uno studio appassionante nel cui processo abbiamo potuto imparare ancora di più quanto grande e profondo fosse il periodo storico e artistico denominato Rinascimento”. Di parere opposto a quanto sostengono i due americani, è il critico d’arte italiano, Vittorio Sgarbi. Lo abbiamo contattato personalmente per sapere il suo parere su questa “scoperta”: “Credo che quanto diano i due studiosi americani, sia una assoluta stupidata” dice senza scorciatoie Sgarbi. “Michelangelo era un pittore che lavorava per la Chiesa, dipingeva vicende legate alla teologia e alla Bibbia. Non era l’Arcimboldi, che riempiva i suoi dipinti di oggetti e significati altri. Andare a ricercare il cervello umano in un affresco come quello della Cappella Sistina, vuol dire inventarsi a tutti i costi qualcosa di cui ci si vuole e si vuole convincere, ma che in realtà non c’è”.
Chiediamo a Vittorio Sgarbi di approfondire qual era il significato del lavoro di un artista come Michelangelo: “E’ un pittore che dipinge la realtà creata da Dio, dunque non ha bisogno di immaginarsi ulteriori situazioni che stiano dietro le cose che dipinge. Dietro le cose c’è Dio, per Michelangelo”. E perché questi studiosi americani sarebbero convinti del contrario? “Sono due studiosi del cervello umano, e probabilmente lo vedono ovunque” dice Sgarbi. “Un po’ come chi guarda le nuvole e si convince che una nuvola è un ritratto e un’altra nuvola un paesaggio. Trattandosi di un grande come Michelangelo, hanno voluto a tutti i costi applicargli significati che Michelangelo non voleva dare. Dato che era un genio, allora doveva divertirsi a fare dei divertimenti concettuali nascosti nei suoi dipinti, ma Michelangelo, impegnato in un lavoro gigantesco come quello della Cappella Sistina, non aveva certo tempo di pensare ai divertimenti. E poi, perché non avrebbe lasciato testimonianza di quello che stava facendo? Quello che noi vediamo in un dipinto è una nostra proiezione, un nostro divertimento, ma non riguarda il pittore, riguarda il nostro occhio”.
Un mistero che di fatto non esisterebbe. Un mistero però che riaffiora, o così sembra, lontano dal Vaticano, più precisamente in Inghilterra, dove un altro pittore italiano, il Tintoretto, l’ultimo grande pittore rinascimentale, ha lasciato un quadro che sta ponendo diversi interrogativi a esperti e studiosi d’arte. Nelle campagne del Dorset, nell’elegante residenza di Kingston Lacy, chiuso per circa trent’anni in un magazzino, c’era un dipinto del pittore veneziano che un facoltoso inglese durante un periodo passato a Venezia aveva acquistato e inviato a casa. Il dipinto si trovava nell’abitazione di John Ralph Bankes discendente dell’esploratore ed egittologo inglese William John Bankes. Il dipinto, comprato da Bankes nel 1849 a Venezia, era conosciuto come “Apollo e le Muse”.
Il dipinto dovrebbe risalire a un’epoca compresa fra il 1560 e il 1570, ma ad attentati esami fatti per la prima volta grazie al restauro sono emersi alcuni fatti bizzarri. Tanto che per anni si era escluso fosse opera di Tintoretto stesso. Le lunghe operazioni di pulitura, però, insieme all’analisi ai raggi X e infrarossi, hanno inequivocabilmente dimostrato essere suo. Ma cosa ha suscitato perplessità? Il soggetto stesso: gli studiosi non sono convinti sia Apollo, come si pensava da sempre, ma piuttosto suo figlio Imene. Tanto che nel dubbio il dipinto è stato chiamato “Apollo (o Imene) che incorona un poeta e gli dà in sposa una donna”. Poi alcuni oggetti presenti nel quadro: la presenza di Ercole, il significato di una tazza e di una scatola d’oro, tutte cose che nessuno sa spiegarsi. “La pulitura ha riportato alla luce la pura energia del Tintoretto e come questi lavorava, ma siamo ancora confusi su alcuni contenuti del dipinto”, ha dichiarato Christine Sitwell, consulente per il restauro della National Trust.
Mistero che tocca anche le sette Muse raffigurate invece delle nove Muse della mitologia greca. “L’arco in mano ad Ercole è significativo” ha detto il dottor Paul Taylor, vice curatore del Warburg Institute “perché l’Ercole gallico è sinonimo di eloquenza e, quindi, questo lascia supporre che l’uomo incoronato sia uno scrittore o un oratore, mentre le donne che portano i fiori devono essere le Grazie. Anche il fatto che Apollo stia in piedi sugli oggetti in oro è interessante, perché potrebbe indicare il suo aver voltato le spalle alle cose materiali, per raggiungere la gloria”. Abbiamo contattato il professor Taylor per chiedergli di approfondire questi misteri. “Il soggetto, questa sorta di Apollo” ci ha detto “non sembra un personaggio contemporaneo al Tintoretto. Potrebbe essere una figura classica tipo Orazio o Cicerone, cioè un poeta. Non assomiglia al classico personaggio del sedicesimo secolo. Tintoretto viveva in un’epoca storica in cui la barba era un tratto distintivo comune a quasi tutti gli uomini. Talmente comune che infatti tutti i ritratti da lui fatti di uomini adulti, essi hanno la barba”.
Alcuni si sono spinti a dire che il personaggio sia in realtà una donna: “Non credo: non ha il seno, ha le braccia grosse e forti, e forse si vede un po’ anche la barba ispida”. Per Taylor, è evidente che Tintoretto abbia voluto raffigurare un personaggio dell’epoca classica: “E’ vestito con quella che sembra una toga, tipico dei romani antichi. Tintoretto, quando dipingeva allegorie dei suoi contemporanei, li vestiva sempre con abiti del loro periodo, il Sedicesimo secolo, ad esempio nei vari dipinti dei Dogi o nella sua allegoria di Ottavio Strada. Anche i capelli, piuttosto lunghi sul collo, non sono tipici dei veneziani della sua epoca, ma piuttosto di un poeta dell’antica Roma così impegnato nelle sue elucubrazioni mentali da non avere il tempo di andare dal barbiere”. Dunque, un poeta veneziano del Cinquecento che Tintoretto omaggia come un poeta dell’Antica Roma?
“Potrebbe essere, ci sono altre allegorie di poeti dipinti da pittori italiani, ma non ce ne sono di Tintoretto o di altri pittori del suo giro. Pensiamo sia un poeta per le varie figure allegoriche presenti nel dipinto: Ercole con l’arco, tipico simbolo di eloquenza; i personaggi con le corone di mirto che si vedono nel quadro; e naturalmente Apollo, che era il patrono dei poeti. In alto a destra c’è una figura femminile che potrebbe essere Venere, che spesso ispira nei poeti il pensiero dell’amore. E il personaggio princpale, il poeta, tiene in mano un libro”. Per Taylor però non si devono fare chissà quali congetture: “E’ certamente un lavoro inusuale per Tintoretto, che ci permette di conoscere un suo aspetto che non conoscevamo. Ma per chi si interessa di allegorie e di significati nascosti, ci sono tanti dipinti dell’epoca che ne contengono ben di più. Al WArburg Institute di Londra dove lavoro, abbiamo un numero altissimo di riproduzioni di dipinti pieni di allegorie misteriose”.