20 anni fa fu rinvenuta tra i ghiacci, al confine tra il Tirolo e l’Austria, sul ghiacciaio Similaun, una mummia in perfetto stato di conservazione. Öetzi, decisero di chiamarla. Öetzi, come la valle omonima, ma anche “l’uomo venuto dal ghiaccio”, “l’uomo di ghiaccio”, “il tirolese primitivo” e “il penta millenario”. Tanti i misteri che, per 20 anni hanno circondato Öetzi, l’uomo morto 5mila anni fa. A partire, appunto, dalla sua morte. Fu ucciso, o perì di stenti? Pare, dai rilievi effettuati sul corpo, la prima. In ogni caso oggi, finalmente, la scienza è in grado di decifrare numerosi tra i più importanti enigmi che caratterizzano la mummia. Il suo genoma, infatti, è stato completamente mappato. Il che consentirà di rispondere a domande che daranno un contributo decisivo alla scienza e alla medicina.



L’impresa è stata portata a temine da Albert Zink, direttore dell’Istituto per le Mummie e l’Iceman dell’Eurac di Bolzano, da Carsten Pusch dell’Istituto di genetica umana dell’Università di Tubinga e da Andreas Keller, bioinformatico della Febit, un’azienda tedesca specializzata in biotecnologia. «Il materiale sul quale abbiamo lavorato ha più di 5.000 anni ed è estremamente frammentato. Tuttavia, con l’ausilio di tecnologie avanzate che garantiscono un margine di errore minimo, siamo riusciti a identificare rapidamente il genoma competo dell’Iceman», ha spiegato Zink. 



La tecnologia impiegata da Andreas Keller, in particolare, ha permesso di rivoluzionare il lavoro degli scienziati. Keller è stato infatti in grado di mettere a disposizione le più avanzate tecnologie informatiche di mappatura del Dna, che i biologi hanno utilizzato per decodificare milioni di «mattoncini» che costituiscono il genoma di Öetzi. E questo li ha messi nelle condizioni di ottenere risultati che, con le tecniche utilizzate in precedenza, avrebbero richiesto decenni di tempo. I biologi hanno estratto un frammento dall’osso pelvico della mummia, e con l’aiuto dell’informatica hanno creato una biblioteca del Dna che contiene di gran lunga i dati più completi sul genoma di Öetzi.



Fino a poco tempo fa pareva che l’ipotesi di ritrovare i discendenti della mummia fosse da escludersi completamente. Nel 2008, infatti, sembrava infatti che il dna mitocondriale fino ad allora sequenziato non fosse riconducibile a quello di nessuna delle attuali popolazioni europee. O che fosse compatibile con pochissimi esseri umani ancora in vita. In ogni caso, tendenzialmente, si riteneva che il ceppo al quale apparteneva Öetzi si fosse escluso del tutto. Ebbene, oggi, con la mappatura completa, i giochi si riaprono. Gli studiosi si rimettono alla ricerca dei discendenti di Öetzi.

 

 

Non si tratta, ovviamente, di una semplice curiosità accademica o di spirito di avventura fine a se stesso. Ritrovare eventuali discendenti della mummia consentirebbe passi in avanti enormi nel campo della ricerca medica. Ad esempio, sarà possibile comprendere, rispetto a 5mila anni fa quali mutazioni genetiche si sono verificate nelle popolazioni appartenenti al ceppo di Öetzi, perché tali mutazioni sono avvenute, quali fattori ambientali le hanno agevolate e – nel caso tali mutazioni non abbiano apportato dei vantaggi alle condizioni di vita generali – se si sarebbero potute evitare o condizionare diversamente. Ma, la questione più importante, relativa alla strada che Öetzi apre alla ricerca, riguarda la possibilità di accelerare gli studi e il ritrovamento delle cure per malattie ereditarie come il diabete o il cancro.

 

L’uomo di ghiaccio fu ritrovato nel ’91 dai coniugi tedeschi Erika e Helmut Simon, mentre stavano compiendo un’escursione. All’inizio pensarono, visto il suo perfetto stato di conservazione, che si potesse trattare di un alpinista scomparso di recente, tanto che nel recupero fu coinvolta la gendarmeria. Durante le operazioni, non si presero le necessarie accortezze, e parte del corpo rimase danneggiata. Dopo che si stabilì che il luogo di ritrovamento si trovava in Italia, sulla base di accordo tra la Provincia autonoma di Bolzano ed il governo austriaco, Öetzi è stato e si trova a Bolzano, nel Museo Archeologico dell’Alto Adige.

 

Le ricerche condotte dal ’91 in avanti sul corpo dell’uomo di ghiaccio, hanno permesso di sapere praticamente tutto di lui. Sarebbe nato a Velturno (Feldthurns), in Sud Tirolo, 5.000 anni fa. Aveva circa 46 anni quando morì. Apparteneva, con ogni probabilità ad una comunità di agricoltori. Tracce di grano, infatti sono state rinvenute sia nel suo intestino che sui suoi indumenti. Nell’intestino sono stati ritrovati anche resti di fibre muscolari: si cibava di carne di capra. I residui di rame e di arsenico rintracciati nei capelli, infine, lasciano intendere che con ogni probabilità praticasse la fusione dei metalli.

 

Tra i misteri che maggiormente hanno reso popolare Öetzi, quello riguardante la sua morte. Si credeva, inizialmente, che fosse morto di stenti, vagando tra i ghiacci dopo, forse, essersi perso. In realtà, la sua fu una morte cruenta. Nel 2001 una radiografia identificò la presenza di una freccia conficcata nella scapola. Non tutti, però, erano convinti del fatto che fosse morto per dissanguamento. Successive analisi, infatti, hanno dimostrato l’esistenza di una lesione a livello dell’arteria succlavia sinistra, sotto la clavicola, e mostrano, inoltre, un grande ematoma nel tessuto attorno alla ferita. Morì, quindi, in uno scontro violento, colpito da un’arma. Lo testimonia, ulteriormente, una profonda ferita sulla mano destra: l’estremo tentativo per difendersi dall’aggressore che gli inflisse la morte.

 

Lo stesso istituto che ha mappato il patrimonio genetico di Oetzi, ha compiuto le stesse analisi sulla mummia del faraone Tutankamon. Una recente ricerca dell’European Academy of Bozen (Eurac), realizzata in collaborazione con il Supreme Council of Antiquities, ha permesso di scoprire che Tutankamon, il giovane faraone egiziano, potrebbe essere morto di malaria, che avrebbe infierito su di un corpo già mutilato da una rara malattia ossea. Questi nuovi risultati potrebbero quindi mettere a tacere la teoria dell’assassinio, che a lungo ha alimentato la leggenda sulla maledizione di Tutankamon. Per due anni gli scienziati hanno vagliato i resti mummificati del faraone, morto a soli 19 anni, per estrarre il suo sangue e campioni di Dna. Queste analisi hanno scoperto nel sangue tracce del parassita della malaria, come riportato dal Journal of the American Medical Association.

 

La scomparsa di Tutankamon era sempre stata avvolta nel mistero. Fin dal 1922, quando Howard Carter scoprì la salma intatta nella Valle dei Re, la tomba di Tutankamon ha sempre stuzzicato la fantasia degli studiosi, che hanno cercato di risolvere il mistero della sua giovane morte. Secondo alcuni sarebbe stato ucciso da una caduta dal suo cocchio. Altri sospettavano oscuri complotti di potere. In più il mistero era reso ancora più fitto dalla leggenda della maledizione di Tutankamon, che era sorta a causa delle precoci morti degli scopritori della tomba.

 

 

Fatto sta che ora è possibile ricostruire gli ultimi mesi di vita del faraone. Secondo gli scienziati non molto tempo prima della sua scomparsa, Tutankamon si fratturò la gamba: l’osso non guarì perfettamente e cominciò ad andare in cancrena. Ciò lasciò il giovane faraone in una situazione di fragilità ed esposto alle infezioni. Ma il colpo di grazia che pose fine ai suoi giorni fu un attacco di malaria che sorprese il giovane in un quadro generale di salute decisamente deteriorato.

– Ma le ricerche dell’Eurac sul Dna della mummia hanno anche permesso di scoprire chi erano i genitori di Tutankamon. Il padre era il famoso faraone Akhenaten, il cui corpo mummificato è stato scoperto nella tomba KV55 nella Valle dei Re. Mentre sua madre era la cosiddetta «giovane signora», la cui mummia è stata trovata insieme al corpo di una donna più anziana nella tomba KV35. I ricercatori stanno ora esaminando se la «giovane signora» possa essere la famosa Nefertiti.