Numerosi misteri irrisolti costellano la Terra. Tra i più affascinanti vi è quello delle linee di Nazca. Si trovano nell’omonimo deserto nel sud del Perù, su un altopiano. Consistono in più di 800 disegni stilizzati, per lo più animali, incisi nel terreno. Le dimensioni sono gigantesche, ma fino al 1927 a nessuno era nota la loro esistenza. Sono infatti visibili solamente dall’alto, e furono scorti solo quando la zona venne sorvolata da un aereo militare. Realizzati tra il 300 a.C e il 500 d.C., le più fantasiose teorie si sono avvicendate per giustificarne l’esistenza. Spiegazioni dai sapori disparati e personaggi più o meno autorevoli hanno tentato di ipotizzarne l’origine e lo scopo.



Dei, alieni, calcoli astronomici e matematici: nel calderone che include la chiave di lettura dell’arcano è stato infilato un po’ di tutto. Adesso, tuttavia, è emersa una teoria che appare tutt’altro che improbabile. Ma, al di là del loro scopo, le linee racchiudono alcuni segreti forse ancor più imperscrutabili, che riguardano la loro stessa conformazione.



Le 13mila linee che formano le oltre 800 figure si trovano su un’area di circa 500 Km quadrati. Sono state realizzate scavando dei solchi nel terreno non più profondi di 30 centimetri. La particolare conformazione del luogo ha fatto si che le figure si conservassero intatte nei secoli. Queste si trovano tutte su un altopiano nelle vicinanze del quale non esistono punti di osservazione situati in alto. Un dettaglio non da poco. Alcune linee, infatti, quelle che concorrono a formare i reticolati che circondano o sottostanno alle figure, si stagliano per decine di chilometri, seguendo una retta dalla precisione praticamente millimetrica. Così le immagini – animali, uomini, oggetti, e figure geometriche – che, nonostante le dimensioni gigantesche, sembrano realizzate al compasso.



 

Alcune si estendono per decine e decine di metri sia in altezza che in lunghezza e sono talmente complesse da risultare difficile persino la loro riproduzione su un foglio di carta. Ebbene: quali tecniche e strumenti sono stati impiegati per disegnarle, non essendo  possibile all’autore (o agli autori) osservare lo sviluppo dell’opera, né avere la benché minima percezione delle proporzioni di quanto stavano imprimendo nel terreno?

 

 

 

 

Un altro enigma riguarda la raffigurazione degli oggetti in sé. Uno dei più famosi in assoluto è certamente il ragno, lungo 45 metri. Un ragno come tanti, per l’occhio di un profano, una specie rarissima, per quello di un esperto. Si tratterebbe, infatti, del ragno Ricinulei. Che vive a 1500 chilometri di distanza dall’altopiano, nella Foresta amazzonica e del quale l’autore ne ha fatto una copia esatta. In tutto e per tutto: l’animale  misura solo 6 millimetri e il suo organo genitale è separato dall’apparato riproduttivo. Si trova su una gamba. L’autore ha riprodotto anche questo elemento. Strano. Perché nel ragno questo particolare è visibile solo attraverso un microscopio.

 

Alcuni dei disegni più noti e suggestivi del deserto di Nazca sono il colibrì (66 metri x 94), la scimmia (lunga circa 135 metri), l’astronauta (30 m, così chiamato per la testa a forma di casco spaziale), l’orca mitologica (ha mani e braccia), la balena (lunga 30 metri), la lucertola (più di 180 metri), l’alligatore, le mani, il pellicano, il pappagallo, la spirale, e la stella.In generale i geroglifici sono suddivisibili in tre categorie: plazoletas (piste), raies (linee) e figures (figure).

 

 

Maria Reich era una matematica, archeologa e astronoma tedesca. Morì l’8 giugno del ’98, lasciando ai posteri una delle teorie più convincenti sull’utilizzo delle figure. Secondo la studiosa, fungevano da calendario o da calcolatore astronomico. Il ragno, in particolare, risulterebbe una rappresentazione fedele dell’evoluzione della costellazione di Orione mentre la scimmia quella dell’Orsa maggiore. La Reich ipotizzò, inoltre, che le immagini vennero composte con l’ausilio di modelli in scala e l’impiego di corde. Tutto ciò riceverebbe parziale conferma dal ritrovamento di alcuni paletti che, probabilmente, erano stati usati per fissare le corde.

Secondo Tony Mosson le linee avevano uno scopo religioso e adempivano ad una funzione ben precisa nei rituali. Secondo Mosson servivano a propiziarsi i favori degli dei e invocarne la benevolenza. La teoria, tuttavia, non ha avuto molto seguito, per il semplice fatto che le linee sono invisibili da terra.

Per Simone Waisbard, studiosa delle linee e autrice de Le piste di Nazca, le figure fungevano da calendario meteorologico. Anche questa ipotesi, tuttavia è stata decisamente scartata perché ritenuta del tutto priva di fondamento.

 

 

 

Erich von Däniken è autore della spiegazione che, finora, ha avuto più seguito e diffusione, al di là della scarsa caratterizzazione scientifica. Saggista e autore di best seller, nato a Zofingen, in Svizzera, il 14 aprile 1935 e residente a Beatenberg (Berna), sostiene che le linee di Nazca sono opera degli alieni. Secondo lo scrittore, esseri dello spazio, provenienti da un altro sistema solare, giunsero sulla Terra circa 10mila anni fa. Fu allora che, alterando il dna della scimmie, diedero origine alla specie umana.

 

L’uomo, dotato dell’intelligenza da tali esseri, iniziò ad adorarli come dei, Secondo von Däniken, che ha scritto una trentina di libri dove si intreccia ufologia, misteri e religione, nei miti antichi e nelle fedi moderne si troverebbe traccia della loro venuta. Le linee, dunque, altro non sarebbero che piste di atterraggio, dal significato simbolico ed estetico ormai oscuro all’uomo contemporaneo.

 

 

 

 

– Torniamo ai giorni nostri e alla più recente scoperta. Recente, perché rispolverata dal passato, non avendo mai avuto grandi sostenitori, e da poco riaccreditata. E’ stato David Johnson, un ricercatore americano indipendente di Poughkeepsie che con il suo studio ha contribuito a illuminare il mistero della piana. In collaborazione con i ricercatori della University of Massachusetts, il suo lavoro è stato pubblicato dall’Agenzia peruviana "Andina".

 

Per il ricercatore, le linee formerebbero un’enorme mappatura delle fonti d’acqua sotterranee, più preziose dell’oro per quei luoghi impervi. Ci sarebbe, infatti, un legame tra gli acquedotti antichi e i geroglifici tracciati. Le popolazioni pre-ispaniche li avrebbe utilizzati per conoscere la collocazione dei depositi d’acqua che si formavano provenendo dalle montagne circostanti. «E’ assai probabile – ha dichiarato Johnson – che le linee fossero una specie di linguaggio che serviva per comunicare dove fossero localizzati i pozzi e gli acquedotti», ha spiegato Johnson. Il becco del colibrì, ad esempio, pare indicasse la presenza di un pozzo.

 

La pensa così anche l’Istituto Archeologico Tedesco e l’Istituto Andino di Ricerche archeologiche. Il rinvenimento di alcune offerte religiose in cavità adiacenti le linee, testimonierebbero la volontà di ringraziare le divinità per il ritrovamento dell’acqua. 

 

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