Il governo della Tanzania ha approvato la costruzione di una strada commerciale nel Parco del Serengeti, uno dei luoghi più remoti e incontaminati dell’Africa. Il Serengeti settentrionale, vicino al confine con il Kenya, è una zona abitata solo dai cinque grandi mammiferi d’Africa: l’elefante, il leone, il leopardo, il rinoceronte e lo gnu. E secondo gli esperti di biodiversità la strada causerà un disastro ambientale irreparabile.



«Le operazioni previste lungo le rotte migratorie di 1,3 milioni di animali tra gnu, elefanti e zebre minacciano gli ultimi grandi movimenti di massa degli animali sulla Terra», ha denunciato un articolo della rivista Nature. L’autostrada Arusha-Musoma, nei piani del governo della Tanzania, dovrebbe collegare i due distretti del Serengeti e del Loliondo, unendo la costa del Paese con la parte più interna e tagliando in due la nazione e il Parco.



La strada comporterà il passaggio di 416 grandi camion al giorno e bloccherà fisicamente le migrazioni, oltre a introdurre specie invasive e dare libero accesso al bracconaggio. Inoltre provocherà un’ulteriore frammentazione di habitat, l’alterazione del sistema delle acque e del suolo, e una maggiore diffusione di epidemie tra gli animali. Quando è bloccata la migrazione degli gnu, che tengono basso il livello dell’erba, si verificano più di frequente incendi nelle praterie, diminuendo ulteriormente la qualità dei pascoli e rischiando di fare dell’ecosistema un’ulteriore fonte di anidride carbonica nell’atmosfera.



 

 

Come scrive il sito web mondoraro.org, «l’area settentrionale del Serengeti è intatta e tale deve rimanere. Le associazioni ambientaliste locali hanno proposto un percorso alternativo per la strada, più sicuro, bypassando il parco e fornendo anche maggiori benefici economici per la popolazione della Tanzania. Questo percorso alternativo preserverebbe il bene più prezioso della Tanzania, il turismo, evitando la devastazione di Serengeti, un inestimabile patrimonio dell’umanità». Con l’aiuto della comunità internazionale a sostegno delle esigenze locali, la Tanzania può trovare un modo per preservare la propria eredità. Il portale Forests.org ha proposto una petizione per la protezione del parco.

Andrew Dobson, uno degli autori della ricerca pubblicata su Nature e docente alla Princeton University, ha elaborato alcuni complessi modelli matematici e realizzato diverse simulazioni al computer. Ed è giunto alla conclusione che la strada farebbe diminuire il numero di animali che si spostano e causerebbe serie conseguenze anche per la flora. Le proiezioni degli scienziati sono basate anche su esperienze simili in altre riserve naturali dove le infrastrutture dell’uomo hanno progressivamente mutato le abitudini migratorie degli animali. Qualcosa di analogo a quanto previsto per il Serengeti è già successo in Namibia nell’Etosha National Park e in Botswana nel Kgalagadi Transfrontier Park. In entrambi i casi gli ecosistemi delle due riserve si sono modificati sensibilmente, con conseguenze per gli animali che popolano quelle zone.

 

 

 

 

Il Serengeti si trova in una zona così incontaminata che fino al 1913 nessun uomo bianco è mai riuscito a metterci piede. Il primo a farlo è stato Stewart Edward White, un cacciatore americano. Partito da Nairobi si è spinto verso sud, e ha lasciato scritto negli appunti: «Camminavamo per miglia sopra regioni bruciate… quindi vidi i verdi alberi del fiume, camminai per altre due miglia e mi trovai in paradiso». Aveva trovato il Serengeti. Negli anni seguenti all’esplorazione di White sotto «l’arco alto e nobile del cielo africano senza nuvole», il Serengeti è diventato un simbolo del paradiso per molte altre persone. I Maasai, che hanno pascolato il loro bestiame sulle ampie pianure erbose lo hanno sempre pensato per millenni. Per loro era Siringitu, «il luogo dove il terreno va avanti per sempre», così chiamato a causa dell’estensione sconfinata della sua pianura.

La regione del Serengeti comprende l’omonimo parco nazionale, l’area protetta di Ngorongoro, la Riserva Maswa Game, le aree controllate di Loliondo, Grumeti e Ikorongo e la Riserva nazionale Maasai Mara in Kenya. Oltre 90mila turisti visitano il Parco ogni anno. I «Luoghi dell’eredità dei due mondi» e le «Riserve delle due biosfere» si trovano all’interno di una regione da 30mila chilometri quadrati. Il suo ecosistema unico ha ispirato diversi scrittori, da Ernest Hemingway a Peter Mattheissen, registi come Hugo von Lawick e Alan Roots e numerosi fotografi e scienziati.

 

 

 

L’ecosistema del Serengeti è uno dei più antichi al mondo. Le caratteristiche essenziali di clima, vegetazione e fauna non hanno subito quasi nessun cambiamento negli ultimi milioni di anni. E qua, nella Gola di Olduvai, sono stati rinvenuti i primi reperti dell’homo habilis risalenti a oltre due milioni di anni fa. Alcuni modelli di vita, morte, adattamento e migrazione sono antichi come le colline. E’ la migrazione ciò per cui il Serengeti è forse più famoso. Oltre un milione di gnu e circa 200mila zebre si riversano dalle colline settentrionali fino alle pianure meridionali per le brevi piogge di ottobre e novembre, e quindi piegano a nord-ovest dopo le lunghe piogge di aprile, maggio e giugno. E’ così potente l’antico istinto di muoversi che nessun ostacolo, neanche i fiumi infestati dai coccodrilli, possono trattenere gli animali.

L’INTESA «MAGICA» TRA ANIMALI E NATURA – Gli gnu viaggiano attraverso un panorama variegato composto da parchi, riserve, aree protette e differenti habitat, dalla flora molto ricca. Come scriveva nel 1963 lo scrittore e avventuriero sudafricano Laurens van der Post, «le sole cose viventi che davvero sembrano appartenere al Serengeti sono gli animali selvatici. Tra gli animali e l’Africa c’è un’intesa che gli uomini non hanno ancora raggiunto. Oggi il Parco Nazionale dei Serengeti, l’Area Protetta di Ngorongoro e la Riserva Maasai Mara Game lungo il confine del Kenya proteggono la più grande e variegata comunità di animali sulla terra, e uno degli ultimi grandi sistemi migratori ancora intatti. Il Serengeti è il gioiello nella corona delle aree protette della Tanzania, che insieme formano il 14% della superficie del Paese, un record che ancora poche altre nazioni detengono. E che presto la Tanzania potrebbe definitivamente perdere a causa della nuova strada commerciale.
 

(Pietro Vernizzi)