Sette giapponesi stroncati da un dolcetto killer. L’ultimo di loro è un uomo di 96 anni, morto dopo avere mangiato una fetta di torta di riso che gli è andata di traverso soffocandolo.
 

«STRAGE» DI CAPODANNO – Lo scrive il quotidiano giapponese Kyodo News, secondo cui lo scorso 3 gennaio l’anziano stava mangiando un «mochi», dolce tipico giapponese. Tutte e sette le persone sono morte per la stessa causa durante i primi tre giorni del 2011, come reso noto dai dipendenti del pronto soccorso. Nella provincia di Saitama una donna di 66 anni è morta lunedì, un giorno dopo essersi semi-strangolata con una torta di riso durante una festa di Capodanno in una sala giochi di Kawaguchi ed essere stata ricoverata in ospedale. A renderlo noto è stata la polizia, che ha fatto anche sapere che nella città di Saitama un uomo di 75 anni è morto lunedì dopo avere mangiato una torta di riso nel suo appartamento.
 



SOFFICE E APPICCICOSO – E’ costituito da riso glutinoso tritato per ottenere una pasta chiara, soffice e appiccicaticcia che è poi lavorata in una tipica forma tondeggiante. Molto diffuso in Giappone, è di solito mangiato durante tutto l’anno, sebbene sia un dolce caratteristico in particolare del Capodanno giapponese, lo shogatsu. Sebbene possa essere consumato da solo, il mochi è utilizzato il più delle volte come ingrediente base per la preparazione di una gran quantità di dolciumi: fra i più frequenti vi sono il daifuku, costituito da mochi guarnito di marmellata, e lo yomogi mochi, mochi aromatizzato da foglie di “yomogi” (Artemisia).
 



 

 

ANTICA CERIMONIA – Il mochi è simile, per i suoi ingredienti, al Nian gao, una torta cinese tipica del Capodanno costituita da farina di grano glutinoso cotta una seconda volta dopo la sua realizzazione. Nel mochi al contrario questo passaggio è assente; come risultato, il Nian gao ha una consistenza molto più solida delle torte di mochi giapponesi. Secondo la tradizione, il mochi è realizzato in una caratteristica cerimonia detta mochitsuki: in questa pratica il riso, dopo essere stato messo a bagno e poi cotto, è triturato nel tipico grande mortaio detto usu con un martelletto chiamato kine. Questa fase richiede l’impiego di due persone che lavorano in coppia: la prima pesta il riso con il kine mentre la seconda bagna continuamente il mochi. Infine, la pasta appiccicosa così ottenuta viene tagliata in forma solitamente di piccole sfere. Oggi però la cerimonia del mochitsuki è solitamente riservata agli eventi eccezionali, proprio perché richiede molto impegno, e per produrre mochi nella vita di tutti i giorni si è soliti utilizzare delle macchine automatiche, che preparano in serie i dolcetti rotondi che i giapponesi divorano poi in grandi quantità.
 



CROSTATA LETALE – Ma le persone rimaste soffocate dal mochi non sono l’unico caso in cui i cibi dolci si sono rivelati letali. Nel febbraio 2008 la sfida goliardica tra «divoratori di dolci» a Swansea, città del Galles meridionale, si è trasformata in una tragedia. Adam Deeley, un trentaquattrenne inglese, originario di Birmingham è morto nel locale Monkey Cafe soffocato da 5 fette di dolce ingoiate nello stesso momento. La tragedia è avvenuta dopo una festa organizzata per raccogliere fondi per l’esibizione di un artista locale. Per il party era stato preparato un ricco buffet, ma una volta terminata la festa, gran parte del cibo non era stato toccato dai clienti del locale. A questo punto le poche persone rimaste, tra cui Deeley e i suoi amici, hanno deciso di organizzare una gara nella quale sarebbe risultato vincitore chi riusciva a mangiare più dolci in meno tempo.
 

 

 

MORTO PER SOFFOCAMENTO – Secondo alcuni testimoni il trentaquattrenne, che aveva appena finito di seguire un corso di designer grafico e che per circa un anno aveva lavorato come cameriere nello stesso Monkey Cafe, dopo aver ingurgitato i dolci, sarebbe improvvisamente collassato. I cinque pezzi infatti si erano bloccati nella gola e gli impedivano di respirare. Gli amici avrebbero tentato di rianimarlo, ma Deeley, sarebbe deceduto velocemente. Infatti, come racconta il referto medico, sebbene l’ambulanza sia arrivata 10 minuti dopo essere stata contattata, Deeley è morto prima di arrivare all’ospedale. «È stato un incidente tragico e triste e questa vicenda dovrà servire da lezione a tutti quelli che si cimentano in competizioni simili» hanno detto Amanda Davey e Paul Dyke, proprietari del locale dove è avvenuta la tragedia. «I nostri pensieri più profondi sono rivolti alla sua famiglia».
 

UCCISO DAL GELATO – Mentre nell’agosto scorso un ragazzo di 16 anni, appena diplomato all’Istituto professionale Manfredi, è morto a San Giovanni Rotondo (Foggia) dopo avere mangiato in un ristorante un gelato non adatto alle sue condizioni di salute. Oltre ad essere affetto da celiachia, quindi intollerante al glutine, era anche allergico a vari alimenti, compreso il grano. Il ragazzo, Davide Perta, assumeva farmaci durante il periodo scolastico e i suoi genitori avevano indicato al ristoratore gli alimenti da evitare e soprattutto avevano espressamente ordinato, con giorni di anticipo, un particolare tipo di gelato dell’Algida. Ma al posto di quel dolce freddo, a Davide è stato servito un gelato ai cinque cereali, mortale. Davide è morto così al pranzo di battesimo della cuginetta, dopo che al tavolo gli è stato servito il gelato sbagliato.
 

IL CASO DI LEOPARDI – Ma persino il poeta Giacomo Leopardi sarebbe morto per colpa dei dolciumi: a ucciderlo sarebbe stata una scorpacciata di confetti. A sostenerlo è lo studioso sorrentino Nicola Ruggiero, che ha sostenuto che Leopardi «era diabetico, ma golosissimo. Andava pazzo per le sfogliate frolle e comprava tre gelati alla volta, così da avere sottomano tre sapori diversi». E la tesi di Ruggiero, riconosciuta “verosimile” tra gli studiosi, è che questa mania per i dolci sia stata la vera causa della morte. «L’ultima sera di Leopardi, il 13 giugno 1837, cadeva Sant’Antonio, onomastico di Ranieri – rivela infatti Ruggiero -. Per l’occasione, furono portati in casa svariati cartocci di confetti cannellini di Sulmona; Leopardi ne mangiò un chilo e mezzo, e morì la mattina successiva per coma diabetico». E alcuni dei confetti rimasti di trovano oggi al museo gastronomico di Sulmona.
 

(Pietro Vernizzi)