La Corte d’Appello di Torino ha confermato la condanna a tre anni a carico di una omeopata, Gloria Alcover di Modena, la quale è stata processata per la morte della paziente di una sua collega di Torino. La donna, Marina, morì nel 2014, nove anni dopo la scoperta di un neo che però fu curato con la psicologia. Il suo medico Germana Durando, già condannata in via definitiva, dopo la scoperta di un melanoma alla spalla le aveva prescritto una cura a base di erbe ed introspezione psicologica ispirata al metodo Hamer. L’omeopata, considerata la mentore della Durando, stando a quanto emerso dai processi ebbe un ruolo attivo nell’intera e controversa vicenda. In primo grado era stata condannata a tre anni con l’accusa di cooperazione in omicidio colposo, pena poi confermata anche in Appello. La vittima, come rammenta Repubblica, aveva scoperto di avere un neo che avrebbe potuto asportare con un semplice intervento chirurgico, ma fu invece convinta a seguire un percorso di autoanalisi: facendo venire a galla le sue carenze affettive avrebbe potuto eliminare il male. Nove anni dopo quella scoperta però, morì.
CURÒ TUMORE CON METODO HAMER: OMEOPATA CONDANNATA ANCHE IN APPELLO
Oltre alla condanna a tre anni con l’accusa di cooperazione in omicidio colposo, l’omeopata è stata condannata anche al pagamento di 270 mila euro di provvisionale ai familiari di Marina, parte civile nel processo. Stando a quanto emerso, la vittima fu sottoposta ad una terapia ricavata dalla medicina omeopatica “hahnemanniana”. La prova di quanto accaduto è rintracciabile nello scambio di mail in cui si legge le sue speranze e il suo calvario: “Leggo gli arcangeli, faccio fatica a meditare”, “Ho paura che lui non voglia aspettare i miei tempi”. Nel 2014 decise di farsi asportare il tumore ma ormai era troppo tardi: “I linfonodi urlano, continuo ad avere male: ma se è il male della guarigione, ben venga”, scriveva prima di morire. L’omeopata condannata fino ad alcuni anni fa ancora ribadiva le sue convinzioni su Facebook: “Mentre il melanoma cresceva la paziente stava bene e c’era il recupero della sua complicata esistenza. Cosa che non interessa al mondo medico meccanicista. La scelta sempre libera della paziente di farsi operare è stato il punto di partenza dell’esplosione delle metastasi”.