Volo Londra-Milano, sto ascoltando “You will never walk alone”, l’inno del Liverpool. La traduzione letterale è “Non camminerete mai da soli” e sottolinea come, nei momenti belli, quando magari si innalza la Coppa dei Campioni e in quelli più difficili, come il rischio di una retrocessione, non importa contro quale squadra o in quale stadio, nessuno si ritroverà mai da solo a partecipare alla gioia o ad affrontare le avversità.



È una di quelle canzoni da brividi alle quali non si può rimanere indifferenti, anche quando ti manca la fede calcistica. Immaginatevi migliaia di tifosi cantarla a squarciagola ogni domenica, intonati e assordanti, secondo una liturgia laica, fino a far uscire fuori l’anima che poi si amalgama diventando spirito del popolo del calcio.



Il mio viaggio passa dalla nebbia di Londra a quella di Milano, dove ad accogliermi c’è Nino Ciccarelli, il fondatore nel 1984 dei Viking, che mi apre letteralmente le porte del mondo degli ultras dell’Inter. In pochi sanno che i nerazzurri sono stati ad un passo dal gemellarsi con i Reds e quindi ad un passo dal cantare insieme la mitica canzone. Nino ha 50 anni come quelli della Curva, delle spalle larghe come un rugbista degli All Blacks, indossa sempre un cappellino che nasconde in parte il suo viso, come a celare il mistero di un uomo che tutto si può dire tranne che abbia un’ordinaria esistenza.



Di origine abruzzese, è cresciuto a Quarto Oggiaro, uno dei quartieri più difficili di Milano. I suoi guai con la giustizia sono rappresentati dalle dodici foglie d’edera tatuate sul suo braccio sinistro; una per ogni anno passato dietro le sbarre. Ma Nino è anche un padre premuroso di tre figli, che lui adora in maniera incondizionata come la sua Inter, e questo lo capisco quando mi fa vedere e commenta le tante foto di famiglia.

Se si vuole approfondire la sua storia, è di recente uscito un libro su di lui: Il teppista di Giorgio Specchia, e un’intervista di una rete televisiva russa a cui Nino apre per la prima volta le porte di casa. Uno dei video più cliccati su YouTube, anche se il doppiaggio in italiano sembrerebbe essere stato bloccato dalle nostre autorità, in quanto si dice che il “teppista” non rientrerebbe nei canoni del buon esempio nella nostra società. Oggi Nino lavora alla Pivert, nuovo marchio con riferimento al casual degli anni 80-90.

Direzione Sempione Park dove sta per iniziare la presentazione del libro CurvaNord Milano 1969, che segna e racconta cinquant’anni di storia del calcio nerazzurro. C’è un passaggio nel libro che definisce cosa voglia dire essere ultras partendo dalla sua negazione: “Volere la fine del tifo organizzato vuol dire volere la fine della più grande amicizia di oggi, e significa anche condannare gli stadi ad essere senza anima e con un giocatore in meno, il dodicesimo uomo che ama la maglia più di tutti gli altri”. All’entrata mi fermano, diciamo non in maniera proprio cortese, però quando Nino dice che sono con lui tutti si scusano e mi abbracciano, si perché Nino è uno che conta in quegli ambienti.

Mi presenta Franco Caravita, il leader indiscusso della Curva fino agli anni Novanta, un pezzo di storia che nessuno dimentica a San Siro. L’impressione che si ha è di un senatore a vita della Curva, e gli ultras se lo tengono stretto perché Franco rappresenta un modo di essere ultrà che esula dal cambiamento dei tempi. Mi dice che gli ultras nascono per necessità, perché una volta non si poteva andare in trasferta in tranquillità. La bandiera appena andavi in posti caldi, come Napoli, te la rubavano, per non dire altro. Per questo motivo si decise di fondare il primo gruppo di tifosi organizzati: nascevano cosi i Boys SAN (Squadre d’azione nerazzurre). Non si è mai sentito un leader, anche se in realtà lo è perché tutti glielo riconoscono. Matteo Pisoni è responsabile alla comunicazione, pesa ogni parola quando si parla di rapporti tra curva  e politica e di accuse di razzismo. Dice che si ha un concetto di destra confuso e che in curva non si fa politica, sono tutti accettati: sinistra o destra senza nessuna distinzione di ceto sociale o di razza.

Matteo racconta anche un aneddoto che si riferisce ai fatti di Messina-Inter con le prime diffide, per spiegare come spesso la percezione che si ha vivendo la partita dallo stadio è completamente diversa, “stravolta”, quando i fatti vengono riportati a livello mediatico. Matteo accusa le sempre più frequenti restrizioni imposte oggi in Italia al tifo organizzato, e rivendica quel tifo campanilistico, o discriminazione territoriale, senza il quale verrebbe meno l’idea del tifo e quindi lo spirito del calcio che passa anche attraverso lo sfottò, a volte becero, poco elegante, contro le tifoserie avversarie.  

Ivan Luraschi, altro esponente di spicco della curva, rincara la dose: “la nube che incombe su tutta la curva nord è quella creata da un sistema repressivo che ha superato ogni limite di decenza e che ormai va ad intaccare i diritti di tutti i tifosi”. Inoltre Matteo se la prende con il caro biglietti, secondo lui una delle cause più importanti che hanno nel tempo fatto diminuire la frequentazione allo stadio delle famiglie, e non come vogliono fare credere, dice lui, perché esiste la violenza negli stadi.

Non si può capire il futuro della curva se non vivendola partita dopo partita. Però loro, gli ultras, hanno un sogno, quello di essere valore aggiunto nelle vittorie della loro Inter, e questo secondo loro lo si può avere soltanto mandando in campo il dodicesimo giocatore, cioè il tifo degli ultras. Lo sa bene Mirko Mengozzi, la voce che ogni domenica a San Siro anima con le sue urla le partite dell’Inter, che sostiene “la curva è il cuore del tifo dello stadio, lo si sente, lo si avverte, lo si respira, una cosa che dà carica e motivazione in più anche ai ragazzi che sono in campo”. Poi dice, guardando in faccia gli ultras: “Da sotto fate paura, ma paura bella!”. Certo, non so se quella che ha provato il giocatore Icardi sia stata una paura “bella”!

Finisce la conferenza stampa e siamo invitati a un ricevimento sulla Torre Branca da dove si può vedere tutta Milano, una città che negli ultimi anni è cambiata velocemente. Un mio amico l’ha definita il Gran Ducato di Milano, perché la sua voglia di crescere non rispecchia né l’Italia né il resto della Lombardia.

Con Nino non ci si ferma mai e si va sempre a cento. Andiamo a Corso Como dove, mi spiega, si concentra la movida dei giocatori di calcio (esempio l’Hollywood). Poi andiamo a mangiare al Rocking Horse. Un ristorante colorato interamente di rosso, che subito associo ai Reds, poi penso al giorno in cui l’Inter si stava per gemellare con il Liverpool,  e nella mia testa batte forte l’inno magico di quella canzone: “Quando cammini attraverso una tempesta, tieni alta la tua testa. E non aver paura dell’oscurità. Alla fine della tempesta c’è un cielo dorato e la dolce canzone d’argento dell’allodola. Vai avanti attraverso il vento. Vai avanti attraverso la pioggia. Anche se i tuoi sogni saranno scossi e spazzati via. Vai avanti, vai avanti, con la speranza nel tuo cuore. E tu non camminerai mai da solo…Tu non camminerai mai da solo!”.

Perché, come direbbero gli ultras, ci sarà sempre il dodicesimo giocatore in campo a fare la differenza.