Seppur giapponese, ci piace pensare che Zombie contro zombie (One Cut of the Dead) nasca in Francia, come fosse l’adattamento di Effetto notte (il capolavoro di François Truffaut del 1973) adattato ai meccanismi dell’horror di serie B o inferiori. Per cui, il fatto che a farne un remake sia un regista francese come Michel Hazanavicius assume un senso.
Dopo aver aperto il festival di Cannes, Cut! Zombi contro zombi approda alla Festa del cinema di Roma raccontando quindi la stessa storia del film diretto nel 2017 da Shinichiro Ueda, ossia quella di un regista che viene assunto per girare un film di zombie, in diretta e in piano sequenza, un’impresa folle che però stuzzica il regista. Hazanavicius, anche sceneggiatore, riprende la struttura dell’originale e sa imprimerle un ritmo e un humour ancora efficaci: dapprima vediamo il prodotto finito, un piano di sequenza di mezz’ora che imita bene l’exploitation più cialtrona, poi racconta in flashback la preparazione del film e per finire, la parte più divertente dell’opera, la messinscena di ciò che abbiamo visto all’inizio, come un forsennato making of.
Fedelissimo all’andamento del prototitpo, il remake mette anche i giusti adattamenti ai tempi e al prodotto in lavorazione cercando quindi la messa in abisso perfetto, ragionando – senza troppe ambizioni riflessive – sulla pratica del remake, sulla pervasività delle piattaforme streaming e sulle differenza culturali che il cinema guarda e interpreta, spesso travisandole. Hazanavicius poi è furbo abbastanza da inserire nel film anche la propria auto-critica (l’idiozia di un remake francesce coi nomi giapponesi) e riferimenti a prodotti di culto come Chiami il mio agente!, ma soprattutto fa di Cut! Zombi contro zombi un suo personale atto d’amore verso un certo modo di intendere il cinema.
Chiaramente è un’opera manierista, che cerca la confusione con altri stili e non ha alcuna ambizioni di originalità, ma il gusto e una certa felicità di regia, azione, movimento scenico, di mettere assieme il lavoro di artigiani e maestranze che sono contagiosi e che non arretrano di fronte a nulla, anche al disgusto di un umorismo scatologico a cui lo spettatore occidentale è meno avvezzo, anche a costo dell’imbarazzo. E tanto di cappello sia alla mano del regista che alla complicità che trova in un cast affiatatissimo.
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