La storia di Cyrano de Bergerac, poeta-spadaccino caratterizzato da un enorme naso e dalla sua leggendaria panache, è stata adattata, traslata e parodiata innumerevoli volte. Ciò non dovrebbe sorprendere, considerato che la commedia di Edmond Rostand era a sua volta ispirata alla vita di un uomo realmente esistito, per quanto drammatizzata e rimaneggiata per fini narrativi. Ogni autore che mette mano a questa storia senza tempo ha saputo aggiungerci del suo, e il regista Joe Wright non è da meno, così come la sceneggiatrice Erica Schmidt: sua è stata la scelta di adattare l’opera in forma di musical, prima per il teatro e poi per il grande schermo, oltre che di modificare il materiale originale per permettere al grande Peter Dinklage di ricoprire il ruolo di protagonista. Saranno riuscite queste scelte ad arricchire l’opera di partenza?
Cyrano de Bergerac (Peter Dinklage) è un capitano delle guardie noto per la sua arguzia, abilità poetica e sfrontato coraggio, ma incapace di dichiarare il suo amore a Roxanne (Haley Bennet). Temendo che la sua statura renderebbe la confessione ridicola, decide invece di assistere il prestante ma poco eloquente Christian (Kelvin Harrison Jr.) nel conquistare Roxanne, scrivendo per suo conto appassionate lettere d’amore.
È imperativo, nel descrivere questo film, partire dalle interpretazioni degli attori, o meglio dell’attore: che Peter Dinklage sia un interprete straordinario lo si sa dai tempi delle prime stagioni de Il Trono di Spade, e il suo contributo alla serie si è mantenuto per quanto possibile anche quando quella è andata a donne di facili costumi. Il personaggio di Cyrano d’altro canto ha molti tratti in comune con il suo Tyrion Lannister: eloquenza, intelligenza, audacia, tutte qualità che l’attore mette in scena come se fossero tanti fuochi d’artificio, ma è nelle scene incentrate sulle insicurezze di Cyrano che fa davvero la parte del leone. Mentre il poeta-spadaccino nasconde i propri tumulti interiori sotto una cascata di motti ed espressioni fiorite, Dinklage ci concede una finestra su ciò che davvero prova, o meglio due finestre: i suoi occhi, che impiega nella recitazione con un’abilità che basterebbe e avanzerebbe a regalare una performance indimenticabile.
Haley Bennet riesce a tenergli testa nelle loro scene a due, mentre Kelvin Harrison Jr. e Ben Mendelsohn rivestono con efficacia i panni dell’innamorato un po’ ingenuo e del viscido aristocratico.
Altrettanto mozzafiato è il comparto visivo: il film, girato prevalentemente in Sicilia, si dimostra capace di immergerti nel suo mondo colorato e ridanciano grazie a una costruzione certosina delle location, magnifici esterni e interni curati al dettaglio. Incredibile il lavoro sui costumi, non solo per la loro bellezza ma anche perché si rivelano parte integrante dei personaggi, denotandone carattere, status ed evoluzione. Tutti questi aspetti sono ulteriormente valorizzati dalla fotografia, un po’ patinata ma in grado di regalare immagini che sembrano veri e propri quadri, impiegando la luce per modellare i personaggi e lo spazio in cui si muovono.
Trattandosi di un musical, la colonna sonora occupa uno spazio di primo piano: le canzoni sono di grande impatto, in particolare una verso la fine, e risultano efficaci nel raccordare vari momenti della trama, ma la loro inclusione contribuisce al principale difetto della pellicola, cioè il tono. Prenderò come esempio una scena del film: Cyrano sta conversando con un panettiere, che gli chiede consiglio riguardo una lettera d’amore che sta scrivendo: invece di farlo insistere sulle astruse metafore legate alle costellazioni che quello aveva congegnato, il nostro protagonista gli suggerisce di scrivere di ciò che conosce, esprimere il suo amore tramite immagini a lui familiari. Il panettiere naturalmente pensa al suo mestiere, ma invece di mostrarci immagini legate all’effettiva panificazione ci becchiamo una sequenza con donzelle che piroettano per tutto il forno e fusti mezzi nudi che impastano la farina in totale sincronia. Questo continuo sforzo coreografico si riflette nella regia, piena di piani sequenza e movimenti complessi, eppure i momenti più belli del film spesso si compongono di inquadrature statiche e semplici conversazioni tra i protagonisti. Alla fine del film lo spettatore comprende il perché di questo stallo alla messicana amoroso che si protrae per anni, ma il continuo virtuosismo rischia di appesantirla, indebolendo i momenti di maggior commozione e facendola apparire superficiale.
Questa discontinuità nel tono si registra anche in altri ambiti: ad esempio, c’è una scena, di per sé molto intrattenente, in cui Cyrano si esprime con termini anacronistici rispetto alla sua epoca, ma questa scelta stilistica è assente da tutto il resto del film; allo stesso modo, il primo atto presenta una scena in tutto e per tutto action girata meglio di quelle di molti blockbuster, che però risulta fuori posto e rischia di far presupporre allo spettatore un ritmo incalzante assente nella pellicola. Queste asimmetrie e scelte di messa in scena potrebbero far storcere il naso a chi conosce bene il materiale originale, ma per quanto non vadano ignorati sono messi in secondo piano dalle altre qualità del film.
Forse Cyrano avrebbe beneficiato di un taglio diverso, ma ciò che è arrivato sul grande schermo rimane di ottima fattura.
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