Una città occupata, che fatica a trovare l’acqua, senza denaro per acquistare viveri i cui prezzi sono schizzati alle stelle. Ma anche apparentemente calma, dove Hayat Tahrir al-Sham cerca di tranquillizzare tutti, cristiani compresi, affermando di non avere cattive intenzioni con nessuno. Difficile crederci, visto il passato dei miliziani, ma per il momento Aleppo vive così: preoccupata per il futuro, con la paura che si scateni una nuova guerra. La città è raccontata da Davide Chiarot, operatore Caritas italiana in Siria, che proprio ad Aleppo cerca di aiutare la popolazione a risollevarsi dalle tragedie del recente passato: un conflitto che dal 2011 ha devastato il Paese e un terremoto che ha completato l’opera. HTS ora sta puntando al Sud, ad Hama, già occupata, e potrebbe dirigersi verso Homs, allargando i confini di uno stato islamico che destabilizza sempre più la Siria e il Medio Oriente.
Come sta vivendo Aleppo questi primi giorni di occupazione da parte di Hayat Tahrir al-Sham?
La città, negli ultimi due giorni, è molto tranquilla; non si sono verificati attacchi o raid aerei. Si vive una forte preoccupazione, ma in una situazione sospesa. I primi atti del gruppo che ha preso il potere in città sono stati di propaganda: sono scomparse le foto del presidente Assad e sono comparse bandiere con i loro colori — nere, bianche e verdi con tre stelle rosse. Sono andati non so se da tutti i vescovi, ma certamente da alcuni, per rassicurare sul fatto che non verranno imposte regole particolari e per garantire che la minoranza cristiana sarà rispettata, sia in termini di sicurezza personale che di proprietà. Hanno voluto inviare un messaggio di distensione e inclusione, anche in vista del Natale.
Come è stato giudicato questo approccio?
Conoscendo la loro matrice ideologica, per le persone è molto difficile, in questo momento, avere fiducia. In alcune zone della città la vita sta riprendendo, ma molti negozi sono ancora chiusi e certi servizi non vengono assicurati: l’acqua in alcuni quartieri non arriva. Internet funziona a intermittenza. È stato imposto il coprifuoco dalle 7 di sera alle 7 di mattina.
Ma si riesce a recuperare del cibo, a trovare da mangiare?
Uffici e sportelli bancari sono bloccati: è impossibile prelevare contanti, e alle persone manca la liquidità per gli acquisti essenziali. Se non si hanno scorte a casa, diventa un problema recuperare qualcosa. Intanto, i prezzi sono più che raddoppiati, sia per i generi alimentari che per la benzina e il gasolio da riscaldamento. È difficile anche acquistare medicinali e latte in polvere per i bambini. Stiamo a vedere cosa succederà.
Cosa si sa di quello che sta succedendo fuori da Aleppo?
C’è molta preoccupazione per quanto sta accadendo più a sud. Gli scontri più violenti si stanno concentrando nella zona di Hama. Le notizie sono frammentarie; stiamo aspettando conferme da amici che abitano lì. Sono circolate anche informazioni su scontri e colpi di artiglieria a Damasco, ma in realtà non sarebbe successo nulla di tutto ciò. Siamo in una situazione in cui le informazioni vanno prese con cautela.
I ribelli si fanno vedere nelle strade? Sono presenti con posti di blocco o altri tipi di controllo?
Non in centro città. Sicuramente hanno allestito una rete di protezione agli ingressi principali, ma nel centro più passano i giorni più diminuisce la presenza armata. Si vede qualcuno sorvegliare il coprifuoco. Hanno anche diffuso un comunicato sui social in cui vietano di girare in città con armi, equipaggiamento e abbigliamento militare. Colpisce la rapidità e la preparazione con cui hanno preso in mano la situazione, oltre alla volontà di rassicurare. Si sono premurati di far notare che hanno subito preso in carico il servizio di smaltimento dell’immondizia e si sono occupati della pulizia di una piazza, mettendo a disposizione forze di polizia per garantire la sicurezza dei cittadini.
Finora, insomma, cercano di mantenere la calma in città?
Sì, nonostante questo nelle minoranze resta la preoccupazione per ciò che può accadere. Ho notato, per esempio, che le ragazze cristiane hanno qualche timore in più; è molto raro vedere in giro qualcuno che non abbia i capelli coperti. Viviamo in un clima di normalità ma anche di tensione.
Comunque di combattimenti ad Aleppo, per il momento, non ce ne sono?
No. Ora gli scontri armati sono concentrati ad Hama e ci sono attacchi aerei a Idlib. Sono circolate notizie su un contingente non quantificato di consiglieri (così li chiamano) iraniani arrivati a Damasco.
Come Caritas, che attività svolgete?
Siamo presenti in due, io e un mio collega siriano. Operiamo principalmente sul fronte dell’urgenza umanitaria, in particolare in ambito sanitario, offrendo sostegno economico alle persone che non riescono a far fronte ai costi elevati delle cure. Ci occupiamo anche della ricostruzione delle case distrutte dal terremoto, di microcredito, formazione professionale e sostegno alle piccole attività. Abbiamo anche un programma per i giovani sul tema della pace e della riconciliazione. Tutto questo, naturalmente, ora è sospeso.
Ci sono persone che sono fuggite dalla città?
Si parla di 150mila persone sfollate da Aleppo. Alcuni hanno trovato un appoggio in qualche villaggio o sono ospitati da parenti, ma molti hanno bisogno di un ricovero. Se ne sono andati nei giorni precedenti l’attacco. Noi adesso non possiamo lasciare la città; le strade sono chiuse.
Il timore della gente riguarda solo la gestione della città o anche il rischio di una nuova guerra per il suo controllo?
Tutti hanno ancora negli occhi le immagini della guerra e temono di rivivere un’esperienza già vissuta. Sicuramente non si può escludere un intervento militare del governo per riprendere la città: sarebbe un disastro.
I segni del terremoto e della guerra precedente sono ancora evidenti?
Sì. Le distruzioni sono ben visibili e, con le sanzioni, non c’è mai stata una ricostruzione o una vera ripartenza. La crisi economica, poi, è pesantissima. Ho vissuto di più a Homs e lì più del 60% della città è ancora devastato. Aleppo ha mostrato qualche segno di ripresa, ad esempio con l’uso di pannelli solari per sopperire alla mancanza di energia elettrica. Però soprattutto la parte est è ancora distrutta.
La comunità cristiana in città è ancora consistente?
Si parlava di 250mila cristiani nell’area di Aleppo; adesso ne sarebbero rimasti 20-25mila. Sono numeri da prendere con cautela, ma danno l’idea della drammatica riduzione. I cristiani in Siria stanno scomparendo.
(Paolo Rossetti)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.