Qual è la vita dei detenuti “celebri” tra le mura del carcere nel quale stanno scontando le relative condanne per i delitti atroci commessi? Il settimanale Oggi – come anticipa Dagospia – passa in rassegna nel suo nuovo numero alcuni dei protagonisti della pagine di cronaca nera nostrana raccontando le loro giornate e rivelando gli impegni lavorativi di ciascuno di loro. C’è chi deve scontare l’ergastolo, chi 30 anni, chi meno. Ciascuno di loro però, ha iniziato dietro le sbarre una nuova esistenza dove il lavoro rappresenta un tassello fondamentale per la propria riabilitazione e rieducazione. E così Alberto Stasi, il quale sta scontando nel carcere di Bollate 16 anni per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi (il cosiddetto delitto di Garlasco), si occupa di rispondere alle telefonate in un call center. Salvatore Parolisi condannato per l’omicidio della moglie Melania Rea, potrebbe presto uscire dal carcere per lavorare all’esterno. Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo per l’omicidio della piccola Yara Gambirasio, tra una preoccupazione e l’altra legata all’emergenza Coronavirus, ora si occupa di riparare macchine da caffè.
VITA IN CARCERE: COSA FANNO I DETENUTI “CELEBRI”
Dopo le loro condanne all’ergastolo, anche i coniugi Rosa Bazzi e Olindo Romano, accusati di essere i responsabili della strage di Erba, hanno iniziato una nuova vita, questa volta distanti. Come racconta il settimanale Oggi, lei lavora come inserviente e collabora con una cooperativa che fa borse e accessori mentre il marito Olindo lavora in cucina. Nuova vita anche per Antonio Logli, da pochi mesi in carcere con l’accusa di aver ucciso la moglie Roberta Ragusa. L’uomo, che dovrà scontare 20 anni di reclusione, opera in una sartoria. Anche Veronica Panarello, condannata a 30 anni per l’omicidio del figlioletto Lorys Stival, all’epoca dei fatti di 8 anni, vede un futuro e per questo sta attualmente studiando per diventare operatrice dei servizi sociali. La vita va avanti anche per Sabrina Misseri e Cosima Serrano, rispettivamente figlia e madre ed entrambe condannate all’ergastolo per il delitto di Sarah Scazzi (cugina e nipote), ad Avetrana. Le due donne dividono la stessa cella del carcere di Taranto e sono attualmente entrambe sarte. Il loro lavoro infatti si svolge in un laboratorio di sartoria dell’Istituto di pena pugliese, tra i tanti riconvertiti in occasione dell’emergenza sanitaria. E così mamma e figlia sono passate dalla realizzazione di tovaglie, corredi, abbigliamento alla fabbricazione di mascherine per l’emergenza Coronavirus.