L’11 ottobre 2019 Mario Draghi pronunciò il suo ultimo discorso pubblico da presidente della Bce. Lo fece all’Università Cattolica di Milano, in occasione del conferimento della laurea honoris causa in Economia. Agli studenti parlò di “Policy making, responsabilità e incertezza” e disse che le tre virtù di chi deve prendere decisioni politiche sono la conoscenza, il coraggio e l’umiltà. Tre parole che riassumono, secondo me, quello che è mancato al governo che l’ha preceduto.
Al presidente Draghi, durante le audizioni per la formazione del governo, ho garantito subito il mio voto di fiducia, perché riconosco in lui capacità di conoscenza dei problemi, coraggio nell’affrontarli e l’umiltà che deriva dalla consapevolezza che il potere non è illimitato, che i nostri sono tentativi da sottoporre alla verifica dei fatti e dell’esperienza.
È in virtù di questa verifica che gli ho chiesto discontinuità nei confronti del governo Conte. Questa discontinuità in alcuni casi non è stata possibile nei nomi – due su tutti: Luigi Di Maio agli Esteri e Roberto Speranza alla Salute –, mi auguro vivamente che avvenga nei contenuti.
Esempi? Per restare ai ministeri citati: l’ultimo discorso di Giuseppe Conte alla Camera dei deputati citava indifferentemente come partner della nostra politica estera gli Stati Uniti e la Cina, quella Cina che – cito il titolo di un giornale – sta trasformando Hong Kong in una “prigione a cielo aperto”. Non era accettabile, e giustamente Draghi ha subito chiarito che il suo sarà un governo euro-atlantico.
La stessa discontinuità chiedo nella gestione della pandemia e del piano vaccini, lento in modo irritante. Discontinuità chiedo nel metodo e nell’inversione del rapporto comunicazione-decisione. Veniamo da un anno di annunci in diretta televisiva di decisioni ancora da prendere, in modo che l’allarme lanciato preparasse il terreno al provvedimento restrittivo. È uno spartito che ci è stato riproposto anche per il prolungamento della chiusura degli impianti sciistici: il lockdown invocato dal consulente del ministro, l’adeguamento del Comitato tecnico-scientifico (che ribalta il suo precedente parere), la decisione solitaria del ministro della Salute.
Non entro nelle questioni di merito – anche se inizio a dubitare della sicurezza con cui gli scienziati ci dicono che le mascherine non servono, poi invece sì, che il virus non muta, poi invece muta – ma il metodo (uno stop a poche ore dall’apertura a cui tutti si erano preparati e per le quali il Cts aveva definito nuove e più restrittive regole a cui le Regioni e gli operatori del settore si erano adeguati) è offensivo, e non si dica che è una protesta delle Regioni di centrodestra, visto che il più sconcertato e il più duro contro questo modo di fare è stato il presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini.
C’è una giustizia da riportare nell’alveo garantista della Costituzione, e su questo tema così delicato e decisivo per la vita delle persone e delle imprese la discontinuità anche nel nome – Marta Cartabia al posto di Alfonso Bonafede – è già una garanzia.
C’è un settore decisivo per la nostra economia da rilanciare, grandi crisi industriali (Ilva e Alitalia, ma non solo) da risolvere. Lavoro da creare e pubblica amministrazione da riformare. I nomi messi in campo fanno ben sperare.
C’è, infine, la scuola. L’ho lasciata per ultima perché le cose dette in chiusura si ricordano più facilmente. È uno dei punti programmatici su cui Draghi ha insistito di più fin dal discorso al Meeting di Rimini nelle audizioni con i partiti. Patrizio Bianchi, il nuovo ministro di area Pd, è persona che sa di cosa parla quando interviene su educazione e formazione dei giovani. Si è battuto, in tempi non sospetti, per la riapertura delle scuole, purtroppo invano. Oso chiedere al presidente del Consiglio un occhio particolare sulle politiche del ministero dell’Istruzione. Lui ha chiesto a tutti di lavorare in unità. La garanzia di questo governo è soprattutto nell’autorevolezza di chi lo presiede, l’unità diventi allora veramente il metodo con cui si procede. È questo il cambio di passo che il Paese si aspetta.
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