Da San Giovanni Bosco a Beppe Grillo… Dall’educazione di un soggetto nel percorso formativo per imparare un mestiere all’assistenzialismo diseducativo fine a se stesso rispetto alla realtà del lavoro. Vediamo quelle che sono alcune delle cause del mancato conseguimento dei risultati auspicati, o quanto meno dichiarati, del reddito di cittadinanza, senza la pretesa di compiere un’analisi esaustiva né di prenderne in considerazione tutti gli aspetti.
Il fallimento, annunciato, del reddito di cittadinanza voluto e rivendicato dal M5s, parte dalla sua stessa errata ed eccessivamente ambiziosa impostazione: voler tenere insieme uno strumento di sussidi, uno di politiche attive del lavoro e pretendere allo stesso tempo di tenerlo sotto controllo con un “cruscotto” informatico unico era effettivamente una pretesa esagerata, specie considerando la relativa velocità con cui sarebbe dovuta entrare a regime.
Tra offerta e domanda di lavoro ci sono troppe distanze. Ci sono alcuni profili professionali per i quali le aziende non riescono a trovare personale con competenze o almeno con attitudini adeguate; in particolare sono difficilmente trovabili tecnici qualificati come ingegneri meccanici, tecnici per le macchine a controllo numerico, tecnici per la gestione e manutenzione di robotica industriale, alcune profili informatici ma anche operai specializzati quali fonditori, saldatori, fabbri, elettromeccanici, addetti alla lavorazione di metalli. Tale mismatch non poteva essere risolto certamente dai navigator, per di più in assenza di una platea adeguata di candidature e senza un adeguato intervento di strumenti di formazione e riqualificazione adeguati.
La carenza di un’adeguata offerta di lavoro si registra anche nelle professioni più basse, come nell’agricoltura, dove c’è poca disponibilità a fornire le proprie prestazioni lavorative per le dure condizioni oggettive per intensità e durata giornaliera del lavoro a fronte di salari eccessivamente bassi e spesso irregolari. Non a caso, in questo campo, è necessario ricorrere all’offerta di lavoro proveniente dall’estero o comunque da immigrati già presenti sul territorio nazionale.
Il RdC, nelle zone più povere del Paese, ha contribuito alla minore disponibilità a fornire prestazioni di lavoro a tempo determinato e ha favorito un ancora maggiore ricorso al lavoro nero, dove la “malata” realtà di mercato ha messo in pratica una di quelle soluzioni che avrebbe dovuto adottare la normativa: consentire, da parte dei datori di lavoro, una retribuzione integrativa del RdC per nuovi lavoratori part-time o a tempo determinato. Ed è sparita, nell’attuazione pratica, l’applicazione inversa, quella degli incentivi al datore di lavoro: ciò per le difficoltà applicative, per la bassa intensità degli incentivi e per la scarsa fiducia dei percettori del sussidio verso proposte di lavoro di incerta prospettiva.
Il ruolo dei navigator è stato un ulteriore completo fallimento. Tutti coloro che non sono immersi in una logica statalista, quasi di “economia pianificata”, avevano fin dall’inizio pronosticato l’inutilità della funzione dei navigator, impossibilitati a coordinarsi sia con i Centri per l’Impiego sia con i soggetti privati dell’intermediazione e dei servizi nel mercato del lavoro, ma soprattutto privi di qualsiasi esperienza e formazione specifica.
Sono quasi completamente mancati anche i progetti di pubblica utilità in cui coinvolgere i percettori del RdC. Nella logica quasi poliziesca del M5s, insieme alle sanzioni penali previste per la percezione illecita, avrebbero dovuto contribuire a mantenere il “controllo” dei percettori, sviandoli dalle occasioni di criminalità e dal lavoro nero. Sia pur senza generalizzazioni, si tratta di scopi dichiarati che vengono puntualmente smentiti di fronte a ogni notizia di cronaca che porta alla ribalta beneficiari del reddito che commettono crimini o che ostentano ricchezza.
L’altra pretesa naufragata di quella che avrebbe dovuto essere la fine della povertà è quella dell’impossibilità in tempi brevi di creare un’unica banca dati informatizzata del mercato del lavoro in Italia. Se si mette tutto insieme, dal bilancio delle competenze di ogni singolo soggetto, alle esperienze di studio e di lavoro, alle condizioni familiari, alle proposte di lavoro ricevute e non concluse, tutto ciò contemporaneamente all’indicazione da parte delle aziende dei fabbisogni di lavoro e alla progettazione di strumenti di incrocio di domanda e offerta, si continua come almeno gli ultimi 30 anni in cui il settore pubblico sta compiendo tentativi senza pervenire a nessuna soluzione. Ai navigator sono persino state messe a disposizione (per farne cosa non si sa) soluzioni informatiche diverse da quelle dei Centri per l’Impiego in cui avrebbero dovuto fisicamente lavorare.