La scorsa settimana è stato presentato il terzo rapporto della nuova serie sulla politica estera italiana, redatto a tempo di record dall’Istituto Affari Internazionali (IAI), intitolato L’Italia dal Governo Draghi al Governo Meloni. Sala piena con i rappresentanti dei partiti e giornalisti di punta e specializzati in relazioni internazionali. Videomessaggio del ministro degli Esteri e della Cooperazione internazionale Antonio Tajani. Dialogo ben ordinato e ben condotto.
Mentre scrivo questa nota, inizia la Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera – una kermesse annuale per diplomatici, militari e addetti alla sicurezza. L’ospite ha affrontato intoppi locali. Uno sciopero sembra destinato a paralizzare gli aeroporti, incluso quello di Monaco. Una rottura accidentale di un cavo in fibra ottica ha messo a terra la principale compagnia aerea tedesca, Lufthansa. Se i circa 500 partecipanti, tra cui Presidenti, Primi ministri e più di 80 ministri della Difesa e degli Esteri, arriveranno come previsto, la loro riunione di tre giorni sarà impegnativa. L’incombente offensiva della Russia alimenta preoccupazioni mentre gli alleati occidentali dell’Ucraina lottano per radunare gli “indecisi” e i “non impegnati” in Asia, America Latina e Africa. Si dice che Antony Blinken, segretario di Stato americano, e Wang Yi, il principale diplomatico cinese, si incontreranno a Monaco tra le tensioni sui palloncini spia cinesi in Nord America. Ma un partecipante veterano – il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov – non è stato invitato.
La conferenza di Monaco è uno sviluppo dell’Internationale Wehrkundebegegnung/Münchner Wehrkundetagung, fondata nel 1963 da Ewald-Heinrich von Kleist-Schmenzin. Il primo incontro è stato limitato a circa 60 partecipanti; tra loro c’erano Helmut Schmidt e Henry Kissinger. Von Kleist ha guidato gli incontri fino al 1997; il suo successore (che li ha guidati dal 1999 al 2008) è stato il politico e imprenditore Horst Teltschik (Cdu). Dal 2009, la conferenza è presieduta dall’ex diplomatico Wolfgang Ischinger, che ha fondato nel 2011 la fondazione non-profit Munich Security Conference. La Conferenza di Monaco sulla sicurezza è stata annullata due volte, nel 1991 a causa della prima guerra del Golfo e nel 1997 a seguito del ritiro di Kleist-Schmenzin. Sotto la guida di Teltschik, la Conferenza sulla sicurezza è stata aperta nel 1999 per i leader politici, militari e commerciali dell’Europa centrale e orientale, nonché dell’India, del Giappone e della Repubblica popolare cinese.
Un punto focale della conferenza è la discussione e lo scambio di opinioni sullo sviluppo delle relazioni transatlantiche e sulla sicurezza europea e globale nel ventunesimo secolo. La conferenza è organizzata privatamente e, quindi, non è un evento ufficiale di Governi. È esclusivamente un foro di discussione; non esiste un’autorizzazione per decisioni intergovernative vincolanti. Inoltre, contrariamente alle convenzioni consuete, non esiste un comunicato finale comune.
È, tuttavia, utile raffrontare l’evento dello IAI (a cui ho partecipato) con quello di Monaco (di cui mi giungono le eco tramite amici e giovani colleghi nella capitale della Baviera, alle prese con confusione e disservizi di ogni genere). Non è tanto sulla parte organizzativa che si vuole porre l’accento, ma sull’incidenza della politica estera sulla politica interna più generale dei principali Paesi (o gruppi di Paesi coinvolti). Il documento dell’IAI dimostra come l’Italia possa essere considerato un caso estremo: sì è passati da Governo (quasi) di unità nazionale (fortemente voluto dal presidente della Repubblica) a un Governo di centrodestra uscito dalle urne (dopo un decennio in cui i partiti di centrosinistra perdevano singolarmente le elezioni ma riuscivano a formare Esecutivi pur ciascuno di breve durata), nella continuità di politica estera europeista e atlantica. Lo ha mostrato a tutto tondo anche il dibattito, in cui unicamente la rappresentante del Movimento 5 Stelle ha preso una posizione (peraltro poco chiara) differente da quella degli altri.
Differente la situazione dei principali Paesi presenti a Monaco. In primo luogo, gli Stati Uniti. La Casa Bianca ha compreso che poco più di un anno fa, il modo confuso con cui ha lasciato l’Afghanistan è stata la molla che ha fatto cessare le ultime titubanze della Federazione Russa e scatenato l’aggressione all’Ucraina. Negli Usa, non pochi lo avevano avvertito: basta sfogliare il periodico The National Review dell’autunno 2021 per rendersi conto che non tutta l’élite americana non fosse consapevole dei rischi che si correvano. In secondo luogo, Francia e Germania. Nella prima, ad aggressione già iniziata, il presidente Macron implorava (quasi) di “non umiliare Putin”. Nella seconda, ci sono voluti mesi prima che il cancelliere Scholz utilizzasse le proprie prerogative per dare (o meglio annunciare) supporto alla difesa dell’Ucraina e, quindi, dei valori liberal-democratici dell’Occidente. Non hanno, quindi, titolo per pavoneggiarsi come primi inter pares. Devono, invece, essere orgogliosi di sedersi a tavoli approntati da chi ha tenuto la schiena dritta in questo difficile anno.
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