Nell’aprile del 1950, Giorgio La Pira pubblicava un articolo intitolato L’attesa della povera gente, in cui proponeva al Governo presieduto da Alcide De Gasperi una politica per l’occupazione. Il 26 settembre 2022 un brillante giornalista ha così commentato l’esito delle elezioni di domenica: è la vittoria di Coccia di Morto su Capalbio. Chi ha visto il film Come un gatto in tangenziale sa cosa voleva dire: è la vittoria della gente semplice che si riversa nella popolare spiaggia del litorale laziale sui pochi benestanti che frequentano la elitaria spiaggia maremmana.
Domenica si è allargata la faglia che separa rappresentanti e rappresentati. Le ragioni sono molteplici, lo sappiamo bene: una insensata legge elettorale, il declino dei partiti, ridotti a comitati elettorali alla mercé di qualche capetto, eccetera eccetera. I rimedi sono correlati e conseguenti: una riforma elettorale, l’apertura dei partiti alla società civile, eccetera eccetera. Ma c’è qualcosa di più profondo e meno visibile, che in qualche modo spiega anche la faglia che si vede a occhio nudo. Cos’è? E cosa possiamo fare per rivitalizzare la nostra democrazia?
Nel dopoguerra, La Pira, Fanfani e i dossettiani riuscirono a convincere De Gasperi che, nel rispetto della raggiunta stabilità monetaria, una politica per l’occupazione era necessaria e possibile. Fanfani e La Pira inventarono un piano di edilizia popolare, finanziato con una forma di risparmio obbligatorio, che consentì di ridurre la disoccupazione. Cosa si attende la povera gente dal Governo, si chiedeva La Pira? E rispondeva: una politica “della massima occupazione e, al limite, del pieno impiego”.
Domenica la povera gente ha votato in massa Fratelli d’Italia e Cinque Stelle. Non è uno scandalo, ma è sorprendente. Evidentemente quei partiti sono riusciti a interpretare un diffuso sentimento popolare: Fratelli d’Italia si è posta a difesa di tradizionali valori identitari, dalla vita alla nazione, mentre i Cinque Stelle si sono presentati come alfieri del Reddito di cittadinanza, da loro stessi fortemente voluto.
Sarebbe sbagliato disconoscere o sminuire quel dato che va invece compreso. Il punto è che i paladini della povera gente l’hanno fatto suscitando o alimentando un sentimento di “odio sociale” verso altri. È sbagliato ironizzare sul Reddito di cittadinanza, ma è ugualmente sbagliato non trasformarlo in uno strumento per creare lavoro: una persona senza lavoro, anche se assistita, è comunque ferita nella sua dignità. Allo stesso modo, è sbagliato non riconoscere che l’interesse dell’Italia è in Europa e non contro di essa, che il Paese ha bisogno di immigrati e che ciò che realmente serve è una politica di accoglienza e integrazione.
Nei giorni scorsi il Papa ha incontrato a Assisi centinaia di giovani, provenienti da tutto il mondo, impegnati a costruire la economy of Francesco. Lì si è visto il mondo nuovo, che c’è già, anche se appare lontano. Al termine del suo discorso, il Papa ha lasciato ai giovani tre indicazioni di percorso: amare la povertà e non soltanto i poveri, creare lavoro e costruire opere sociali.
Cosa c’è all’origine della faglia che, in Italia come altrove, allontana rappresentanti e rappresentati minando le fondamenta della democrazia? Tante cose, ma tra queste, un disinteresse che, a volte, si trasforma in disprezzo per la povera gente, quella che abita le periferie delle città o esistenziali, come dice il Papa. Occorre amare la povertà, i poveri e le persone semplici e non cavalcare o alimentare la loro delusione.
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