Antonio Tajani, ministro degli Esteri italiano, ha fatto ritorno dal suo viaggio in Medio oriente ribadendo agli interlocutori in Libano, a Tel Aviv e Ramallah che il nostro Paese confida ancora tanto nella bontà di una postura di interposizione della comunità internazionale nello scacchiere, quanto nella strategia “due popoli due Stati” come orizzonte di soluzione del conflitto. Tajani ha sottolineato la disponibilità italiana in primis, ma anche europea, a contribuire con truppe ed aiuti ed ha dato la disponibilità dell’Italia ad accogliere e curare cento bambini feriti a Gaza. Ma l’ennesimo governo Netanyahu è in realtà una coalizione tenuta in piedi essenzialmente dal rifiuto della teoria “due popoli due Stati”; nell’enclave palestinese retta in Cisgiordania dall’ANP le elezioni non si svolgono dal 2006, e nel 2021 sono state rinviate sine die “fino a quando non sarà possibile votare a Gerusalemme est”.
Sarebbe più onesto riconoscere che il dettato della comunità internazionale stride fortemente con la realtà sul terreno e che al momento manca non solo una visione, ma forse anche una leadership capace di proporre un’alternativa credibile. In queste condizioni il conflitto israelo-palestinese, più che uno scontro con radici ataviche e complesse in attesa di una composizione, appare ostaggio privilegiato nel grande gioco che vede contrapposte le grandi nazioni della regione e quelle grandi potenze così cinicamente compromesse con le ricadute di quelle che considerano tensioni marginali sugli equilibri mondiali.
Chi infatti cercasse ostinatamente l’epicentro dei sommovimenti globali nei contorcimenti di questo o quello scenario particolare, dal Medio oriente alle tragedie che affliggono i confini dell’ex gigante sovietico, fino alle contraddizioni del braccio di ferro sino-americano nello scacchiere indocinese, non farebbe per intero i conti con il problema di fondo dello scenario globale.
Rimane lo squilibrio di un mondo che in nessun modo riflette più i rapporti di forza sanciti a Yalta, e che oggi più che mai postula la necessità di un recupero e di un rilancio di quelle istituzioni internazionali che dovevano garantire un negoziato permanente su questi temi e che oggi affondano nel discredito, nell’impotenza e peggio ancora nella provata complicità con le follie stragiste di Hamas.
Nel giorno della memoria bene ha fatto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a ricordare ad Israele che proprio le sofferenze vissute dagli ebrei devono portare a considerare fondamentale non negare una terra ed un destino buono al popolo palestinese. Ma il mondo può stare a guardare in attesa che tra Israele e palestinesi maturi una siffatta consapevolezza? Occorre agire adesso, perché la “guerra mondiale a pezzi” (Papa Francesco) è finita. Il puzzle si sta ricomponendo. Viene la guerra. E l’Unione Europea, unico esempio di accordo nella storia stipulato non solo tra vincitori ma anche coi vinti, non può rimanere a guardare.
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