Il dispositivo internazionale navale di deterrenza dispiegato nel Mediterraneo orientale, a deterrenza di una possibile escalation del conflitto a Gaza, potrebbe subire un riposizionamento, con parte dei convogli dirottata nel Mar Rosso, a protezione della navigazione in quel tratto divenuto pericolosissimo per i continui attacchi missilistici o con droni portati dai ribelli filoiraniani Houthi dallo Yemen.
Non sarebbe una prima volta: già nel 2008 l’ONU aveva autorizzato l’operazione Atalanta, missione diplomatico-militare dell’Unione Europea contro la pirateria marittima lungo le coste degli Stati del Corno d’Africa, soprattutto somale. Adesso, sotto spinta USA, potrebbe imboccare Suez ed entrare nel Mar Rosso parte della flottiglia a bandiere europee già nel Mediterraneo, comprese le navi italiane. Che non sono poche (ne avevamo già riportato il dettaglio su queste pagine).
Su un totale di circa 20 unità Nato presenti nella regione, 7 sono della Marina militare italiana: tre fregate (Fasan, Margottini e Carabiniere), un pattugliatore d’altura (Thaon di Revel), una nave cisterna/ospedale (Vulcano), una nave d’assalto anfibio (San Giusto) e almeno un sottomarino (Venuti). Francia e Gran Bretagna hanno già aderito al nuovo piano, l’Italia dovrà decidere nei prossimi giorni, probabilmente una volta definite le regole d’ingaggio e stimate le capacità difensivo-offensive dei mezzi dispiegati, considerato che non tutte le unità della nostra Marina sono dotate del plus di armamenti possibile.
Nel frattempo, gli attacchi continuano: i missili dallo Yemen l’altro giorno hanno colpito tre carghi mercantili (compresi due portacontainer di Msc), in un’escalation di terrore che sta costringendo molti se non tutti gli armatori ad abbandonare quelle rotte verso il canale di Suez, rotte che garantivano almeno un decimo del traffico mondiale. La paralisi nello stretto di Bab el-Mandeb (che sinistramente significa “porta del lamento funebre”), che unisce il Golfo di Aden al Mar Rosso, dallo scorso ottobre è diventata una questione internazionale, visto che gli Houthi non mirano solo alle navi israeliane o direttamente dirette ad Israele, ma indiscriminatamente a qualsiasi bastimento, nave militare o rinfusiera che sia. Così che, al di là della motivazione a sostegno della popolazione palestinese, si rivelano anche altre ragioni: prima tra tutte il desiderio di una forte dimostrazione di forza, alla ricerca di una credibilità identitaria, che nella logorante ma lunga guerra a bassa intensità era andata diluendosi; fin dal 2014, quando nello Yemen iniziò il conflitto tra le fazioni, con le forze Houthi a controllare la capitale Sana’a e quelle lealiste, vicine al governo con sede ad Aden.
Gli Houthi sono un gruppo armato prevalentemente sciita zaydita dello Yemen, essenzialmente anti-governativo, fortemente alimentato dall’Iran, che controlla vari governatorati del Paese, e che sembra aver trovato un nuovo motivo fondante nella lotta contro lo Stato ebraico. Ed Israele (con USA e gli altri alleati occidentali) ancora una volta diventa il bersaglio coagulante per le tante anime del mondo islamico, divise su tutto ma unite nella loro mission anti-Tel Aviv.
Lo schieramento navale occidentale nel quadrante adesso sembra imminente, ma non si possono nascondere insidie evidenti: nella zona, ad esempio, stazionano due fregate iraniane classe Alvand, e probabilmente uno dei tre sottomarini classe Kilo di Teheran, unità in grado di dare aiuto nel tracciamento dei bersagli per i missili Houthi. Basterebbe l’evidenza di un loro coinvolgimento negli attacchi per accendere micce dai risvolti imprevedibili.
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