La Siria terreno di scontro fra Iran e Usa. Una guerra non dichiarata, combattuta per interposta persona, attraverso milizie sostenute da Teheran e basi che gli americani hanno dislocato sul territorio siriano là dove una volta spadroneggiava l’Isis. L’operazione di Israele in risposta all’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre ha riacceso di riflesso anche i contrasti, mai sopiti, tra i protagonisti della più che decennale guerra che ha martoriato la Siria. Ed ecco allora che i russi, alleati del presidente Assad, stanno utilizzando la loro aviazione contro i jihadisti asserragliati nella zona di Idlib. Azioni ritenute necessarie perché ciò che è rimasto dell’Isis ha compiuto, comunque, raid nella Siria centrale in cui sono stati uccisi cinque soldati governativi siriani. E anche Israele, ma lo faceva già prima dell’esplosione del conflitto con Hamas, ha attaccato gli aeroporti di Damasco e Aleppo che sarebbero utilizzati come punti di passaggio dei materiali bellici utilizzati da Hezbollah.



Insomma, si tratta di scontri limitati nell’entità e nel tempo, ma sembra quasi che proprio in Siria si stiano facendo le prove di allargamento del conflitto che in tanti temono dopo l’avvio della devastante operazione di terra da parte di Israele a Gaza. Uno scenario, osserva Giuseppe Morabito, generale dell’esercito con al suo attivo diverse missioni all’estero, fondatore dell’Igsda, membro del Collegio dei direttori della Nato Defense College Foundation, che dimostra l’estrema fragilità degli equilibri in un’area in cui i pericoli di escalation vengono dai due Paesi più “disastrati” della regione a livello politico ed economico: la Siria, appunto, e il Libano. L’Iran ha dichiarato e conduce una guerra per procura a Israele attraverso Hamas. E adesso lo sta facendo con gli Usa attraverso altre milizie, in territorio siriano.



Le forze filoiraniane in Siria hanno attaccato una base Usa. Qual è il senso dell’aumento delle azioni militari nel Paese dopo l’attacco di Hamas a Israele? Si sta combattendo una guerra fra Iran e Stati Uniti?

Dopo l’attacco del 7 ottobre si è riaperta la guerra per procura da parte degli iraniani nei confronti di Israele e conseguentemente nei confronti degli Stati Uniti quale principale alleato di Tel Aviv. In Siria il governo di Assad si oppone a quello che è rimasto dell’Isis e in questo viene supportato dalla Russia: al loro fianco ci sono le milizie sciite iraniane, anch’esse impegnate nella eliminazione di ciò che resta Stato islamico. Gli americani, invece, con la loro base di Al Tanf proteggono una grossa area di estrazione del petrolio al confine con l’Iraq. Sul territorio siriano, insomma, convergono gli interessi di diversi schieramenti che sono anche in lotta tra loro.



La base americana presa di mira è a difesa di una porzione di terreno particolarmente importante dal punto di vista energetico, significa che gli attacchi agli Usa delle forze sostenute dall’Iran hanno anche un obiettivo economico?

Gli americani sono lì per proteggere un’area di estrazione del petrolio in base a degli accordi con l’Iraq, ma la loro presenza ha una doppia valenza: serve sia a “controllare” l’Isis, sia l’intera zona. Quello degli americani è un interesse strategico, per il controllo del petrolio e per il contenimento dell’Isis. Paradossalmente Iran e Usa in quell’area hanno la stessa controparte. Le forze filoiraniane, che sono collegate a Hezbollah, attaccano gli americani che si trovano nell’area, anche se ora devono tenere in considerazione il potenziale delle due portaerei che sono state dislocate proprio dagli Usa nel Mediterraneo. Gli attacchi in Siria sono un’azione complementare alla guerra dichiarata per procura contro Israele, colpendo gli americani come loro alleati nell’area. Dopo Israele sono il nemico numero uno dell’Iran nella regione. Le azioni di disturbo contro di loro c’erano già prima dell’attacco di Hamas e si intensificano oggi.

Se le azioni contro gli Usa dovessero proseguire potrebbe arrivare una risposta dalle portaerei?

È possibile, e forse qualcosa è già avvenuto. Per ora si tratta solo di azioni di disturbo, ma se si dovesse passare ad azioni più importanti potrebbero entrare in azione tutte le capacità operative delle portaerei, che hanno un grosso potere offensivo, ivi compreso il personale (Marines) che potrebbe essere trasferito sul terreno d’operazione.

Lo stesso Israele è stato protagonista di incursioni in Siria dove ha attaccato gli aeroporti di Damasco e di Aleppo: perché continua a tenere alto il livello di attenzione su questo fronte?

Colpire l’operatività degli aeroporti significa rendere difficile l’arrivo di materiali a Hezbollah e alle forze filoiraniane sul terreno. Recentemente, quando è stata dichiarata una visita di un alto rappresentante del governo iraniano in Siria, subito sono stati colpiti gli aeroporti per impedirlo. Si vuole ostacolare l’arrivo di diplomatici ma anche di personale iraniano mandato per supportare gli alleati nella regione.

La Siria, quindi, è diventata uno snodo importante per l’Iran per sostenere i gruppi che fanno capo a Teheran, che sono sotto la sua ala protettrice?

La Mezzaluna sciita, il collegamento territoriale che copre la fascia di territorio che attraversa la regione dalla Siria all’Iran, consente di supportare soprattutto Hezbollah nel sud del Libano.

Ma tutti questi scontri quanto rischiano di allargare il conflitto israelo-palestinese?

Al momento se non si è ancora allargato è perché nessuno pare abbia un reale interesse a farlo. Se ci fosse una spiralizzazione dell’intensità degli attacchi allora ci potrebbe essere una escalation. Israele ha già dichiarato che se il suo territorio subisse un attacco ci sarebbe, come conseguenza, una reazione importante. Anche gli aerei e i missili delle portaerei possono infliggere grossi danni sia ad Hezbollah che a chi l’appoggia in Siria.

Il rischio di escalation della guerra, tra l’altro, viene dai due Paesi dell’area più “disastrati” dal punto di vista politico, economico e sociale: la Siria e il Libano. Quanto pesa la loro situazione in questo scenario?

Sono i due Paesi più supportati dall’Iran: hanno notevoli problemi di coesione interna e questo li ha sempre più portati a finire sotto l’ombrello di Teheran. Se Israele continuerà la sua operazione a Gaza per la liberazione dei prigionieri di guerra e la neutralizzazione di Hamas potrebbero diventare due nuove aree di confronto. Speriamo che questo non avvenga.

(Paolo Rossetti)

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