Caro direttore,
in un editoriale sul Corriere della Sera, l’ex direttore Paolo Mieli ha ragionato sul dramma dei bambini ucraini rapiti e in ostaggio della Russia, chiamando direttamente in causa il cardinale Matteo Zuppi, presidente e dei vescovi italiani e quindi il ruolo della Chiesa cattolica nella “terza guerra mondiale”.



Unendo i puntini di un testo fin troppo articolato, può essere dipanato questo filo di riflessione iniziale:

“la solitudine di Zelensky” – cioè l’apparente disimpegno politico-militare dell’Occidente dal conflitto russo-ucraino dopo l’escalation fra Hamas e Israele – appare “ingiusta”, profondamente inaccettabile;



–  la “stanchezza” alle spalle della resistenza di Kiev (per la quale Mieli punta il dito contro il premier italiano Giorgia Meloni, ingannata al telefono da due comici russi) sembra ridare spazio alle posizioni di quanti hanno sempre giustificato in parte l’aggressione russa come reazione a un “accerchiamento” provocato dalla Nato attraverso l’Ucraina di Zelensky;

– un atteggiamento analogo si ritroverebbe ora in “quanti sostengono l’inopportunità di qualsiasi reazione a qualsiasi atto aggressivo. A cominciare da quella israeliana ad Hamas”.

La prima parte del column – vergato da un esponente molto visibile della comunità ebraica italiana – è quindi dedicata alla costruzione di un’equazione: Israele colpito da Hamas il 7 ottobre scorso è assimilabile all’Ucraina aggredita dalla Russia nel febbraio 2022. Quindi: il diritto etico-politico riconosciuto all’Ucraina a difendersi con ogni mezzo (diritto oggi colpevolmente messo in discussione da Usa e Ue dopo 18 mesi di supporto solidale) va attribuito senza esitazioni e condizioni anche al governo di Bibi Netanyahu, nel suo sforzo protratto di ristabilire un’effettiva sicurezza attorno allo Stato di Israele.



La questione è centrale e bollente nel confronto geopolitico di questi giorni: sia sul terreno delle azioni diplomatiche, sia nella sfera del dibattito politico-mediatico. Qui si ritiene utile solo annotare un eccesso di disinvoltura “narrativa” da parte di Mieli. Se c’è stato un Paese “occidentale” disallineato ai limiti della neutralità rispetto all’appoggio di Usa, Ue e Nato a Kiev, questo è stato Israele. Chiaramente disturbato – Netanyahu – dalla nuova “guerra fredda” tra Usa-Ue e Russia-Cina, laddove Gerusalemme si sta invece da anni ritagliando un ruolo di player geo-economico a tutto campo (e il tentativo di estensione degli “Accordi di Abramo” all’Arabia Saudita ne è stato la conferma ultima).  Una rara contestazione a Zelensky (israelita) è giunta dalla Knesset, e i profughi ucraini – ebrei e non – non hanno mai trovato porte aperte in uno stato ebraico oggi molto popolato di nazionalisti religiosi russofoni.

Non da ultimo: nell’immediato post-attacco di Hamas, Netanyahu ha declinato un’immediata offerta di visita “fraterna” a Gerusalemme da parte del presidente ucraino. La “equazione Mieli” sembra non essere valida anzitutto per il premier israeliano.

Viceversa, sempre in breve, non paiono facilmente liquidabili come fake opinions altre (possibili) assimilazioni.

Una prima può riguardare un’Ucraina che “dimentica” per otto anni gli accordi di Minsk dopo la prima guerra con la Russia; e Israele che – lungi dall’impegnarsi per un’effettiva soluzione della questione palestinese – incoraggia l’invasione dei propri coloni in Cisgiordania e strappa agli Usa di Donald Trump un piano unilaterale sostanzialmente annessionista.

Una seconda equivalenza può forse essere stabilita fra Zelensky che respinge ogni invito (certamente da parte di Francia e Germania) a evitare una guerra distruttiva, anzitutto per il suo Paese, salvo poi invocare l’adesione immediata alla Ue; e Israele che (al pari dell’Ucraina) continua a dipendere dagli Usa per la propria sicurezza, ma rifiuta in questi giorni ogni tentativo dell’amministrazione Biden di far cessare le ostilità a Gaza.

I pensieri di Mieli diventano tuttavia più significativi quando vengono calati in una dimensione peculiare: il ruolo della Chiesa, in particolare di un leader cattolico italiano come il presidente della Cei.

Mieli scrive che in un “colloquio privato” (ma “senza autorizzarci a darne conto pubblicamente”) è stato lo stesso arcivescovo di Bologna – “che molto si è speso per la restituzione dei bambini ucraini alle loro famiglie” – a “rivelargli l’entità dei risultati raggiunti”. Questi sarebbero tuttavia deludenti, se Mieli chiosa di “non aver ben compreso come sarebbero avvenuti questi ricongiungimenti, se nella parte dell’Ucraina occupata dai russi o in quella libera e cosa è stato concesso a Mosca per questi rilasci”.

Al netto di uno stile giornalistico parecchio discutibile (Mieli insiste sul “cardinal Zuppi che non dà l’impressione di sentirsi reduce da un’impresa culminata con un indiscutibile successo”), l’esercizio di unire i puntini di un gioco enigmistico conduce ad altre “equazioni”.

Dunque: trattare con Putin non serve a nulla e non servirà mai a nulla (quindi la guerra di Kiev deve continuare fino alla vittoria definitiva, eccetera). Non è servito a nulla nemmeno tentare di negoziare per una causa umanitaria come il rilascio di bambini inermi, brutalmente rapiti in ostaggio. Non ce l’ha fatta una figura alta di sintesi di pastore e diplomatico come il cardinale della Comunità di Sant’Egidio (non a caso ribattezzata “piccola Onu”, ma le Nazioni Unite sono per l’appunto l’odierna bestia nera di Netanyahu). Non da ultimo: la Chiesa che non ha ottenuto risultati geopolitici è quella non allineata, pacifista – Angelus dopo Angelus – di Papa Francesco. Anzi: il tentativo del cardinale Zuppi sarebbe la dimostrazione dell’irrilevanza corrente della Chiesa di Roma pur su un terreno millenario come quello del cristianesimo europeo (di cui in fondo è cittadino anche il presidente russo). Un passo oltre. Ci si poteva aspettare qualcosa di diverso da un successore di Pio XII? Da un Pontefice dichiaratamente aperto al dialogo con l’islam e invece più tiepido dei precedenti verso uno Stato ebraico connotato da un forte sovranismo religioso?

Di qui – neppure troppo in controluce – una definitiva equazione: se negoziare con il Cremlino è impossibile, inutile e perfino dannoso, lo stesso è bene chiarire da subito anche per Hamas. Quindi: ha ragione il premier israeliano a considerare la guerra l’unico linguaggio con cui rispondere “occhio per occhio” a Gaza. Ha ragione “Bibi” a non porre come priorità la liberazione degli ostaggi, ignorando le invocazioni di cancellerie e piazze, di università e leader religiosi.

Non avrebbe torto, il governo israeliano, ad assumere la premessa implicita più dura e apparentemente inaccettabile: molti ostaggi, purtroppo, non torneranno comunque. Da Gaza come dalla Russia. Meglio concentrarsi sulla guerra: di cui però la responsabilità esclusiva resterà di Hamas (o di Mosca), non del governo israeliano se continuerà a bombardare Gaza, incurante del fatto che gli ostaggi stessi vi siano trattenuti. E nessuna colpa potrà mai ricadere sul presidente ucraino che vuole continuare a combattere la terza guerra mondiale nelle stesse pianure in cui nazisti e sovietici massacrarono nella seconda anche decine di migliaia di ebrei ucraini.

Infine: è inutile che il cardinale cattolico di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, si offra lui in ostaggio in cambio della liberazione di donne, vecchi e bambini ebrei. S’informi invece – come ha fatto il giornalista Mieli – presso il suo collega di Bologna. E lasci perdere. Lasci anche lui che la terza guerra mondiale – profetizzata proprio da Papa Francesco – diventi ineluttabilmente tale.

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