In pochi giorni sono piovute notizie orribili. Da un barman dall’aria innocua che si rivela un mostro omicida, ad un assassino con turbante, barba e occhiali da sole, che trotterella in un parco giochi accoltellando bambini nei passeggini. Da un carabiniere in delirio che decide di uccidere la propria amante per poi suicidarsi lui stesso ad un 44enne che uccide genero e nuora in quanto sospettati di una tresca amorosa a danno dei suoi due figli. Cosa accadrà domani?
Nel nostro mondo di eroi e di santi, di onesti e di volontari che spalano il fango c’è comunque un’area buia, della quale i mostri che vediamo non sono che le punte dell’iceberg. Oggi come nel passato c’è l’ossessione psichica, il delirio e la follia ma, al contrario del passato, non c’è più una rete che li trattenga. Finiscono per vagare come meteore fuori controllo, apparentemente inserite, ma in realtà con un ego devastato e inaffidabile.
Non è un caso che proprio le donne siano tra le principali vittime: sono troppo importanti per l’ego malato, la loro libertà gli appare insostenibile. Non sa reggere il loro abbandono, ma nemmeno la loro presenza quando non può più liberarsene. In un caso come nell’altro la loro libertà gli appare insostenibile. Il proprio io è troppo fragile per saper reggere la libertà dell’altro.
Un adulto può sviluppare il proprio delirio abbandonico e uccidere l’oggetto che lo nega, oppure può sviluppare il proprio ego sovrano fino al punto da togliere la vita a chi osa sbarrargli la strada. Oppure semplicemente entrare nel delirio omicida senza che niente e nessuno sappia vederlo e bloccare il meccanismo che lo manda alla deriva.
Bisogna che smettiamo di pensare alla società come qualcosa di omogeneo. È un errore. Esistono molte micro-società, molte aree di relazione. E ciascuna di queste vive di vita propria, con i propri riferimenti e le proprie identità. Molte di queste micro-società funzionano benissimo, danno vita e gioia. A volte basta essere prossimi a qualcuna di queste per esserne felicemente contagiati (è il fascino di molti movimenti e di molte associazioni). Ma non è sempre così. In altre micro-società regna la fragilità oppure – ed è il caso più pericoloso – trattengono al loro interno maglie devianti, per le quali, magari, è legittimo uccidere per vendicare il proprio onore e riabilitarsi agli occhi dei propri pari.
Ma al di là di questo quadro schematico, e quindi al di là di questi due casi estremi, esistono sempre più spesso delle micro-società che brillano per la loro assenza, reti primarie, famiglie, comunità che non sanno ne vogliono più guardarsi, né prendersi in considerazione. Le loro reti di valori sono fragili o semplicemente formali e poco credibili.
Pertanto – e detto brutalmente – ci sono troppe famiglie che non fanno abbastanza famiglia, troppe scuole che non fanno abbastanza scuola, troppi padri che non fanno abbastanza i padri, troppe comunità che non fanno abbastanza le comunità: cioè non sono e non fanno da esempio, non presentano valori forti e condivisi ai quali legarsi, non presentano modelli di vita da ammirare e condividere, non presentano né educano ad alcunché. La prima assenza è proprio la loro.
E se i “servizi sul territorio” possono offrire un riparo, una casa-famiglia, un percorso di sostegno, e come tali sono indispensabili, difficilmente possono sostituire chi non c’è mai stato o comunque è stato troppo debole, troppo inautentico e superficiale, troppo poco credibile per essere efficace ed essere d’esempio.
E quando le aree di assenza e di dimissione dai ruoli si allargano oltre misura, troppi soggetti crescono avendo solo il proprio io per padre. E se, per grazia di Dio (non ho dubbi a tal proposito), gli episodi di questo tipo sono rari, è ben difficile che al di sotto di questi la palude dell’indifferenza e dell’io sovrano non sia più che ampia. Troppo, per essere tollerabile e continuare a far finta che non vi sia.
Se l’emergenza è educativa, questa non passa certo per l’educazione civica o per cicli di conferenze nelle scuole. Per prosciugare la palude dell’indifferenza occorre che la società della sostanza e dell’impegno ridiventino visibili e riprendano ad essere esempi di vita felice.
Ovviamente – va detto per correttezza – è ben tardi. Prima che una società simile riprenda vita ci vorrà almeno un decennio. Nel frattempo, c’è bisogno di sicurezza adesso, per questa sera stessa, per i parchi e le scuole di oggi, per le ragazze e le donne di adesso. Pretendere la sicurezza nei luoghi pubblici ed il rispetto per le donne nella vita privata è un imperativo che non ammette deroghe, né mezze misure. Della prima se ne devono occupare le istituzioni, sono loro responsabili e devono sentirne tutto il peso, morale ma anche legale. Della seconda se ne deve occupare ciascuno di noi, e ne portiamo per intero la responsabilità.
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