Per la terza volta da quando è cominciata la crisi tra Israele e Hamas, il presidente americano Joe Biden ha chiamato il primo ministro israeliano Netanyahu. Nell’ultima telefonata ha chiesto esplicitamente di giungere a un cessate il fuoco, pur ribadendo il diritto di Israele di difendersi dagli attacchi definiti “indiscriminati” di Hamas. Ogni possibilità di accordo al momento è però lontana. Quello che appare chiaro è che Hamas, rispetto alle precedenti situazioni, goda di un arsenale missilistico notevolmente superiore: in una sola settimana hanno lanciato un numero di ordigni pari al 60% di tutti quelli lanciati nei ben due mesi della crisi del 2014.
Una dimostrazione di forza bellica dunque a cui Israele risponde in modo ancora più forte, come ci ha detto Michael Herzog, ex generale di brigata delle Forze di difesa israeliane, attualmente editorialista del quotidiano Haaretz: “Secondo fonti militari sono stati distrutti gran parte dei depositi di razzi e di arsenali, mentre allo stesso tempo sono state colpite le gallerie sotterranee lunghe decine di chilometri dove si nascondono i leader militari di Hamas. È questo lo scopo di Israele: infliggere danni così forti ad Hamas che la prossima volta ci penseranno dieci volte prima di attaccare”.
Per la prima volta il presidente americano Joe Biden ha chiesto espressamente al capo del governo Netanyahu un cessate il fuoco. Come mai secondo lei ha aspettato così tanto e quale ritiene sia la politica dell’amministrazione americana davanti a questa guerra?
Biden ha parlato tre volte con Netanyahu, fondamentalmente supporta il diritto di Israele all’autodifesa contro i razzi di Hamas. È stato chiaro, sottolineando a differenza di quanto ha fatto nei giorni scorsi il Consiglio di sicurezza dell’Onu, che bisogna fare distinzione fra Hamas che spara razzi e la popolazione civile israeliana che viene colpita. Israele sta cercando di fermare Hamas sparando su obiettivi militari.
Quindi gli Stati Uniti non stanno chiedendo a Israele di fermare i bombardamenti?
Ci aspettiamo degli sviluppi, in quanto la sinistra del Partito democratico sta già facendo pressioni su Biden perché a sua volta faccia pressione su Israele.
Per la prima volta dopo molti mesi, un inviato americano ha incontrato il leader dell’Autorità palestinese, Abu Mazen. Ha idea di cosa si siano detti?
Non so i dettagli, certamente è venuto per vedere se c’è una possibilità di stabilire una tregua. Il problema è che il popolo palestinese e Abu Mazen in particolare sono irrilevanti. Questa guerra è stata cominciata da Hamas che ne detta l’agenda, Abu Mazen non è in grado di agire contro di loro. Parlando per esperienza, quando ci fu una situazione analoga una decina di anni fa rispondemmo militarmente e dopo aver colpito Hamas suggerimmo all’Autorità palestinese di prendere il controllo di Gaza, ma rifiutarono, definendo Israele criminale di guerra. Questo è il Medio oriente, purtroppo.
In che modo Israele può definirsi vincitore di questo scontro? Al momento ha raggiunto qualche risultato reale?
Secondo fonti miliari, Hamas è stato colpito duramente. Ha perso molta della sua produzione militare, molti degli arsenali sono stati distrutti e parte dei tunnel sotterranei dove si trova il centro di comando e la leadership che agisce di nascosto, sono stati presi di mira e distrutti.
Però Hamas continua a lanciare razzi e a colpire.
È una questione di tempo. Quando questa situazione finirà, Hamas giungerà alla conclusione di non aver fatto qualcosa di intelligente ad attaccarci, e che Israele non può perdere. Ci penseranno dieci volte prima di attaccarci di nuovo.
Per la prima volta si stanno verificando scontri interni a Israele in varie città, tra arabi ed ebrei: che cosa significa questo?
Sì, la tensione nelle città israeliane è alta, in particolare a Gerusalemme che rappresenta un elemento molto sensibile per arabi ed ebrei. Le emozioni si scaldano velocemente, e l’arrivo di gruppi estremisti ha buttato benzina sul fuoco. Da un paio di giorni la situazione si è calmata, non ci sono più scontri, sembra si stia stabilizzando.
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