Di fronte al sempre più complicato e tragico panorama di guerre che sconvolgono il mondo, mi viene in mente una strana analogia: un automobilista che, in una zona non conosciuta, si trova davanti a un solido muro che sbarra la strada che sta percorrendo. Costretto a fermarsi, gli si presentano tre alternative: continuare e schiantarsi contro il muro; rimanere lì fermo in attesa che qualcosa succeda; voltare la macchina e, magari imprecando, tornare indietro e cercare una strada che lo porti a destinazione. La prima alternativa suona disastrosa e la seconda quantomeno logorante e senza un esito individuabile. Rimane oggettivamente più ragionevole prendere in considerazione la terza, per quanto possa causare un pesante fastidio.



Prendiamo la guerra in Ucraina. Le parti in conflitto parrebbero propense a seguire la seconda alternativa. I proclami di Zelensky di continuare “fino alla vittoria”, nonostante il coraggio dimostrato dagli ucraini, sembra inattuabile senza un intervento diretto della NATO e conseguente inizio della guerra mondiale non più “a pezzi”. Dall’altra parte, è pensabile che a Mosca si siano resi conto dell’estrema difficoltà di assoggettare tutta l’Ucraina e, malgrado i proclami, suona difficile credere che sia disposta a rischiare una guerra atomica per arrivare a Kyiv.



Scartata la decisone di schiantarsi contro il muro, il rimanere fermi, cioè continuare una guerra di posizione, risulta per il momento più fattibile per la Russia, ma con costi sempre più pesanti. Rimane la terza faticosa alternativa: girare la macchina e trovare la strada giusta, cioè iniziare reali trattative per una pace il più possibile duratura. È da rilevare che questa ipotesi è onerosa particolarmente per l’Ucraina, che dovrebbe comunque rinunciare a parti non irrilevanti del suo territorio. Come visto, però, le altre ipotesi si mostrano ancor più negative.

A questo punto, nella sceneggiatura entra un altro personaggio: il vigile urbano. Quest’ultimo può far notare al nostro automobilista di non aver rispettato il cartello che vietava l’accesso alla strada, comminando una multa, o aiutare l’automobilista ad uscire dal vicolo cieco dove si era cacciato. Nello scenario, questo vigile è rappresentato dagli Stati Uniti, gli unici che possono risolvere la situazione. Certo, c’è chi ha notato che il vigile avrebbe potuto avvisare prima l’incauto automobilista del divieto, ma rimane il fatto che anche per il vigile dovrebbe essere preferibile fare una bella ramanzina al guidatore, ma sbloccare la situazione. Anche per evitare che la folla che si è intanto radunata finisca per tifare per l’automobilista. Fuor di metafora, i numerosi altri Paesi che non sembrano poi così disposti a tifare a favore del vigile contro l’automobilista.



Più complessa la situazione per Gaza. Qui, nella parte dell’automobilista, non abbiamo la Russia di Putin, ma Israele, guidato da Netanyahu, ma è più difficile individuare la controparte, se non si vuole identificare meccanicamente, e strumentalmente, Hamas con i palestinesi. Una strumentalizzazione purtroppo spesso presente anche nelle manifestazioni in corso a favore di una o l’altra parte. Il vigile urbano della sceneggiatura è ancora identificabile negli Stati Uniti, ma qui pare essersi distratto da un po’ di tempo o, per altri versi, incerto sull’ipotesi che fosse vietato l’ingresso alla strada. Forse perché il suo contratto è in fase di rinnovo e non vorrebbe fare errori che compromettano l’esito delle trattative.

Oggettivamente, al di là del vigile, Biden o Trump che sia, la seconda alternativa è difficile da attuare, poiché è difficile individuare una linea del fronte su cui continuare una guerra di posizione, per quanto rovinosa. Tornare indietro significa riavviare trattative per la definitiva soluzione di entrambe le “questioni”, quella palestinese e quella israeliana. Una soluzione che avrebbe dovuto essere già trovata da tempo; la responsabilità di questo negativo esito non può essere certamente addossata solo ad Israele, pur se proprio lo Stato ebraico aveva il maggior interesse a risolvere in modo appropriato la questione palestinese, e quindi la propria.

Il muro contro cui rischia di schiantarsi Israele è molto lungo e si estende anche oltre un Medio Oriente allargato, richiedendo di conseguenza un intervento concordato dell’ampia gamma di interessati al problema. Essenziale che si intenda raggiungere il non facile obiettivo di stabilizzare la regione, il che comporta che ciascuno rinunci a una parte della sua posta. A cominciare dall’attuale governo israeliano, che sembra invece guidato da uno slogan alla “muoia Sansone con tutti i filistei”.

Mi si può far notare che ho messo tutti sullo stesso piano, gli attaccati, Ucraina e Israele, e gli assalitori, Russia e Hamas. Per rimanere nell’analogia stradale, i due guidatori, Russia e Hamas, sono senza dubbio accusabili di guida in stato di ebbrezza o sotto droga, e quindi pesantemente condannati. Rimane il problema di riportare le auto, cioè i popoli coinvolti, sulla strada giusta, quella della pace in vista di una convivenza pacifica e duratura. Cosa impossibile nelle due prime alternative, schianto contro il muro o guerra di usura.

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