Siamo coinvolti sul piano emotivo dal conflitto in Medio Oriente, ma in realtà il teatro di guerra è unico e comprende attori vecchi e nuovi. La ritorsione israeliana nella Striscia di Gaza, in risposta all’attacco terroristico compiuto da Hamas il 7 ottobre, costituisce un vantaggio per la Russia nella sua guerra contro l’Ucraina e nel suo confronto contro “l’Occidente collettivo”. All’indomani di questi attacchi, i media russi hanno a malapena nascosto la loro soddisfazione, nonostante il rischio di una deflagrazione generale in Medio Oriente, compresa la Siria.



La ripresa del conflitto in Medio Oriente offre insomma un gradito diversivo per Mosca e indebolisce la posizione occidentale sull’Ucraina. La questione va oltre la semplice derubricazione della guerra ucraina nella gerarchia dell’informazione televisiva. Piuttosto riguarda gli sforzi compiuti dagli occidentali dal febbraio 2022 per isolare la Russia e convincere i Paesi designati come appartenenti al Sud del mondo alla loro causa.



Questi sforzi, coronati da un relativo successo, stanno per essere spazzati via, sia dall’opinione pubblica che da un certo numero di governi, in Medio Oriente, Africa, Asia e America Latina. L’isolamento minaccia oggi, paradossalmente, invece che la Russia, il blocco occidentale.

Crescono dunque le tensioni internazionali legate al conflitto israelo-palestinese, e tutto ciò costituisce lo sfondo del grande Risiko globale, ma è un dato di fatto che sulla questione specifica da circa vent’anni nessuno lavora seriamente alla soluzione cosiddetta dei due Stati. Non certo gli occidentali. Nemmeno gli arabi. Aggiungo che su questo tema, come su tanti altri, gli europei hanno difficoltà a pensare in termini strategici. Facciamo riferimento solo ai princìpi ripetendo il mantra democrazie contro autocrazie, ma perdiamo di vista le piste più concrete.



Nel merito è possibile che il riavvicinamento tra Arabia Saudita e Israele abbia contribuito alla tempistica dell’attacco. Ma l’attacco era stato pianificato da molto tempo. La cosa più sorprendente è l’elemento sorpresa. L’evoluzione della politica interna israeliana lo spiega in parte. Questa tragedia ci ricorda anche che la tecnologia non può fare tutto. Lo vediamo anche in Ucraina, dove siamo tornati alla guerra di trincea. Gli israeliani sono stati distratti dai loro affari interni, compresa la riforma giudiziaria. Sono stati puniti anche per l’idea di un Israele divenuto invincibile soprattutto grazie alla tecnologia. Anche la distribuzione delle forze, soprattutto in Cisgiordania, ha avuto un ruolo. Hamas ha speculato su tutto questo.

Il rischio quindi di una conflagrazione regionale è reale, ma non è nell’interesse di nessuno. Detto questo, anche se contenuta, la guerra causerà danni considerevoli. Il ruolo dell’Iran sarà cruciale. Dopo la rivoluzione del 1979-1980, questo Paese si è abilmente presentato all’opinione pubblica araba come l’unico vero difensore della causa palestinese. Gli ayatollah stanno lavorando per dividere gli arabi. Come sempre. È così che dobbiamo intendere gli slogan di Teheran, che si uniscono a quelli di Hamas, nel sostenere la cancellazione di Israele. Ma dubito che l’Iran voglia esplicitamente correre il rischio di una guerra con gli Stati Uniti.

Nell’immediato futuro il pericolo principale è l’incontrollabile incendio dell’opinione pubblica. Anche in Europa, in particolare nel Regno Unito, in Francia e in Germania. Sul fronte dei Paesi arabi l’obiettivo dell’Arabia Saudita è modernizzarsi e, in definitiva, occupare un posto importante nell’equilibrio del Medio Oriente. Anche l’Iran ovviamente ha obiettivi sovrapponibili e c’è spazio per una certa intesa tra i due.

L’Unione Europea non ha invece una politica estera in senso forte, perché non è uno Stato e come tale non dispone delle leve della forza, né sul piano economico né su quello militare. Non ha una visione chiara della sua identità e quindi dei suoi interessi da difendere. Una politica estera è fatta di azioni coerenti perseguite nel tempo, con mezzi reali, e si basa su una visione veramente geopolitica, mai unicamente su principi astratti come la democrazia e i diritti umani. L’Unione Europea può, certo contribuire ad azioni umanitarie, distribuire denaro anche se spesso lo mette nelle mani sbagliate, può sanzionare, parlare ai belligeranti, invocare una soluzione politica.

All’estremità opposta degli europei, nonostante le correnti ideologiche che li attraversano, gli americani hanno un acuto senso della propria identità e dei propri interessi. Rimangono campioni nel maneggiare il bastone e la carota. Democratici o repubblicani, praticano sempre un discorso denso di richiami ideali, ma senza mai perdere il senso del concreto. Quando necessario, non esitano a mutare alleanze in modo spregiudicato per tutelari gli interessi nazionali.

Analogamente si comportano Russia e Cina. Nel “Sud del mondo”, la bilancia pende piuttosto a loro favore. L’Ucraina sta soffrendo terribilmente a livello umano e, per le armi e l’economia, dipende interamente dagli occidentali. Il rifiuto del mondo occidentale nei Paesi del Sud si esprime sempre più apertamente. Tuttavia, le loro posizioni sono diverse. L’India, in particolare, gioca molto abilmente con il concetto di multi-allineamento, che è una riaffermazione della sua politica di non allineamento durante la Guerra fredda. Per la guerra in Ucraina l’Unione Europea si è affidata alla leadership americana. Gli Stati Uniti si presentano, sempre più esplicitamente, come leader di un’alleanza di democrazie contro le autocrazie o le dittature. Ma non dobbiamo cadere nella trappola di contrapporre il blocco occidentale allargato (Giappone, Australia, Corea del Sud, ecc.) a tutti gli altri Paesi del mondo. Non abbiamo i mezzi per affrontare tutti i rischi che potenzialmente gravano su di noi, anche se potessimo raddoppiare o triplicare i budget per la difesa e la sicurezza. Siamo a rischio sul nostro fianco orientale, a causa della guerra in Ucraina, e in modo diffuso ma profondo sul nostro fianco meridionale, che è l’arco arabo-musulmano.

Dal mio punto di vista esiste una divisione naturale del lavoro all’interno dell’Alleanza Atlantica. Per l’Italia è il fianco meridionale che dovrebbe preoccuparci in via prioritaria. Il rischio di un’invasione della Europa da parte della Russia non ha molto senso, ma, per come stanno le cose, Mosca ha scelto di minacciare i nostri interessi, soprattutto in Africa, Libia compresa. Dobbiamo ricostruire la nostra strategia nei confronti dei Paesi del Sud e in primis dell’Africa e del Medio Oriente. Una vera e propria strategia non si costruisce in un giorno. Con l’Africa, ad esempio, tutto è da ricostruire. Si tratta di un lavoro a lungo termine che richiederà notevoli sforzi di investimento in tutte le dimensioni. Non basterà il “Piano Mattei”.

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