LAMPEDUSA – La situazione a Lampedusa sembra essere tornata calma, ma nei bar non si parla d’altro. La Sea Watch ha forzato il blocco, ha speronato la motovedetta della Guardia di finanza, i finanzieri hanno rischiato grosso con il mezzo rimasto schiacciato fra la grossa nave e la banchina, i migranti sono sbarcati, la comandante è agli arresti domiciliari, ma l’argomento a Lampedusa è un altro. Non molto distante da tutto ciò, anzi causa degli eventi. Sull’isola, avamposto italiano nel Mediterraneo verso il continente africano (geograficamente e morfologicamente Lampedusa sembra faccia parte della piattaforma del continente africano anche se è italiana), è in corso uno scontro culturale pesante, difficile da digerire. Uno scontro che si intravedeva in questi giorni, ma che è esploso durante le fasi di attracco pirata della nave.
L’arrivo della nave, infatti, è stato caratterizzato da un vero e proprio scontro tra opposte fazioni sul molo di Lampedusa dopo che l’imbarcazione ha violato, per l’ennesima volta, le disposizioni delle autorità, in ultimo il divieto d’ingresso e ha attraccato: da una parte, i sostenitori della Ong, che hanno applaudito la scelta della comandante; dall’altra, un gruppo di lampedusani, tra cui l’ex vicesindaco leghista Angela Maraventano (prima leghista a Lampedusa ben prima del boom di Salvini), che ha urlato e inveito contro i volontari dell’organizzazione.
“È una vergogna – ha urlato Maraventano rivolta verso la nave -. Qui non si può venire a fare quello che si vuole, non venite nella nostra isola, se no succede il finimondo”. E poi, “fate scendere i profughi – ha aggiunto rivolgendosi alle forze dell’ordine – e arrestateli tutti”. All’ex vicesindaco ha risposto l’ex sindaco Pd, Giusi Nicolini: “Che vuoi tu, chi sei tu per decidere chi deve venire e chi no”. Uno scontro culturale e politico dal quale l’attuale sindaco, Totò Martello, si è tenuto a debita distanza.
La notte, dunque, non ha portato consiglio: tutt’altro. Ha fatto, invece, emergere uno scontro sociale che si vedeva già a Lampedusa, ma che non è lampedusano. Perché sull’isola sono arrivati ex ministri e sottosegretari Pd, sono arrivati ragazzi dei centri sociali, sono arrivati gli inviati delle organizzazioni leghiste. Lampedusa si conferma avamposto non solo fisico, ma culturale e politico, di quello che sta accadendo in questo Paese. Uno scontro nel quale nessuno sembra davvero avere ragione e tutti sembrano avere solo torto.
A fronte dello scontro sociale e politico c’è il tema della magistratura e dell’uso che fa del suo potere indipendente. Le leggi vanno rispettate e uno Stato che non fa rispettare le proprie leggi è uno Stato incivile e che non conta nulla nel panorama internazionale. Ma c’è anche il diritto alla vita e al soccorso.
La comandante Carola Rakete sembra essere venuta incontro ai dilemmi di una magistratura, quella agrigentina, che non la voleva arrestare, pronta a contestare l’applicabilità del decreto sicurezza. Ma ha travolto una motovedetta e l’arresto è avvenuto in flagranza da parte della Finanza. E i baschi verdi di mare se la sono presa abbastanza sul personale quando hanno rischiato di restare schiacciati fra la nave e la banchina e hanno temuto l’affondamento della motovedetta. Si è rischiato il disastro.
Prima che la nave attraccasse, infatti, una motovedetta della Guardia di finanza ha tentato più volte di impedire l’ormeggio, fino a quando si è dovuta sfilare per non rimanere incastrata fra la Sea Watch e la banchina. La motovedetta classe V800, in servizio a Lampedusa, è stata quasi “schiacciata” sulla banchina commerciale dalla Sea Watch, dopo che la nave della Ong ha forzato il blocco della Guardia pur di approdare. L’unità della Guardia di finanza stava ormeggiando quando è stata speronata dalla Sea Watch. Solo grazie alla prontezza del pilota e a un perfetto coordinamento dell’equipaggio è stato evitato il peggio. La motovedetta, infatti, è in vetroresina, mentre la nave è in ferro; il problema riguarda naturalmente anche le dimensioni delle due imbarcazioni, che sono di uno a 30 circa. La parte inferiore dello scafo è stata seriamente danneggiata e l’unità della Guardia di finanza dovrà adesso essere portata in cantiere per essere sottoposta a controlli e per tutte le riparazioni necessarie. Questo aggrava la posizione della comandante della nave.
E dopo l’ormeggio la reazione della Finanza a bordo è stata proprio quella prevista dal Codice penale e della navigazione. La comandante della Sea Watch, Carola Rakete, è stata portata via dalla Guardia di finanza, in stato d’arresto. L’accusa nei suoi confronti, secondo quanto si apprende, è violazione dell’articolo 1100 del Codice della navigazione: resistenza o violenza contro nave da guerra, che prevede una pena dai tre ai 10 anni di reclusione.
“Il comandante o l’ufficiale della nave, che commette atti di resistenza o di violenza contro una nave da guerra nazionale, è punito con la reclusione da tre a dieci anni. La pena per coloro che sono concorsi nel reato è ridotta da un terzo alla metà” dice il testo dell’articolo 1100 del Codice della navigazione. Una legge che esisteva già prima del decreto sicurezza.
“Non avevamo scelta: al comandante, iscritto nel registro degli indagati, non è stata data nessuna soluzione di fronte a uno stato di necessità dichiarato trentasei ore fa e quindi era sua responsabilità portare queste persone in salvo” si giustifica la portavoce della Sea Watch, Giorgia Linardi, giustificando la scelta della comandante della nave, Carola Rakete, di entrare in porto. “La violazione – ha aggiunto Linardi – è stata non del comandante, ma delle autorità che non hanno assistito la nave per sedici giorni”.
Adesso lo scontro si sposta in tribunale, dove la Rackete potrebbe ritrovarsi, oltre l’accusa dell’articolo 1100 e quella di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per cui è stata iscritta ieri nel registro degli indagati, anche un’accusa di provocato disastro navale.