Il cardinale Matteo Zuppi è venuto a Mosca come pellegrino di pace, come portatore di una missione di pace. La “diplomazia” vaticana, se di diplomazia si può parlare, è unica al mondo: ha sempre a cuore il bene della singola persona concreta, e il bene comune, questa meravigliosa casa in cui abitare, che è il creato.
Questa posizione permette di non dimenticare che la pace, così come il reale, e più in generale, ciò che è “altro” da me, è dono. Personalmente penso che la coscienza di essere “pacificati” venga prima del poter o dover essere dei pacificatori. Perlomeno è più decisiva esistenzialmente; in ogni caso è l’esperienza dell’essere pacificati con Dio a fondare la possibilità autentica di essere operatori di pace. Oggi assistiamo a una innumerevole e crescente diffusione di anime non pacificate, di uomini e donne che non si accettano più. Alla celebrazione liturgica dei Santi Pietro e Paolo, il Cardinale ha detto che “siamo unici perché siamo fatti per amarci e abbiamo sempre tutti bisogno di essere slegati dal male e legati nell’amore”.
Questa visita ha riaperto degli spiragli proprio perché ha cercato di fissare l’attenzione non sugli sforzi umani, ma sul dono della pace, dono che però va accettato e accolto. Quando questo non avviene, cresce l’incertezza, la paura, finanche alla disperazione. Disperazione e sfiducia possono spesso distorcere la realtà in immagini orribili, che ci sembrano più reali della stessa realtà avversa.
La visita del Cardinale è stata per me un fattore di novità, mi ha fatto vedere che in una circostanza così drammatica, il miracolo della conversione permette di vedere quelle fiammelle di speranza, che la pace sia accettata e accolta. Diceva Teilhard de Chardin che la vera tragedia per l’umanità non è una epidemia, una guerra, una catastrofe naturale, una piaga mondiale, cose tutte che abbiamo vissuto in questi ultimi anni!, ma la perdita del gusto del vivere, del senso del vivere. Oggi questo è una parentesi nella vita quotidiana; il gusto del vivere, il gusto della pace è un bene raro, ma quanto mai desiderato!
Nel libro del pellegrino russo si trova la citazione di una massima biblica, che è stata tradotta in modo particolare: “Il fratello aiutato dal fratello è come una città alta e forte” (cfr. Pr 18,19). La città alta e forte è la pace. Essa richiede la solidarietà, la collaborazione tra fratelli.
La visita di Zuppi ha ridato impulso a questa umanità, a questa possibile “fratellanza”. Ancora dalla sua omelia a Mosca: “Chi segue Gesù viene condotto sempre ad una nuova fraternità. Abbiamo sempre un fratello. Il primo è proprio Gesù, che ci cerca, ci chiama, non ci lascia soli, resta con noi tutti i giorni, conta perfino i capelli del nostro capo, si fa nutrimento del nostro corpo. Ma chi incontra Gesù incontra la sua Chiesa madre lieta di tanti figli, dove la fraternità non resta virtuale, simbolica, ma assume le forme concrete della nostra esperienza umana”. Massimo il Confessore ha una espressione molto felice di questa fraternità dinamica, solidale: “Cristo è… tutto in tutti, Egli che tutto racchiude in sé secondo la potenza unica, infinita e sapientissima della sua bontà – come un centro in cui convergono le linee – affinché le creature del Dio unico non restino estranee e nemiche le une con le altre, ma abbiano un luogo comune dove manifestare la loro amicizia e la loro pace” (Massimo il Confessore, Mistagogia, I).
Il conflitto ha portato a mille la disintegrazione della tranquillità della vita quotidiana già messa a rischio dall’odio verso di sé (violenza e conflitti nelle famiglie, nella società, trai popoli), con l’entrata di un corpo estraneo nella propria vita (i nuovi migranti, profughi e rifugiati), e la diffusione di un malessere nei rapporti (falsa propaganda, fake news).
La visita del Cardinale ha mostrato l’importanza di una chiara coscienza della situazione, e poi del tipo di affronto della situazione che si decide di esercitare: altro è affrontare un problema, altro è affrontare un uomo, una comunità di popolo, o un pezzo di mondo, di creato, con cui vengo in contatto. Là, dove si pone in primo piano “il problema”, si assisterà a errori grossolani che porteranno anche a un maggior numero di vittime. Là, dove la preoccupazione sarà l’uomo, le comunità e il bene comune, la nostra casa comune, rifioriranno tangibili manifestazioni di solidarietà (aiuti umanitari, scambio di prigionieri, aiuti a coloro che fuggono, o sono spinti a fuggire).
Si tratta di praticare una solidarietà (il fratello aiutato dal fratello) per la pace (una fortezza inespugnabile), dove “si condivide qualcosa di più delle merci” (Giovanni Paolo II, Appello, 29 gennaio 1990) o delle convenienze. Non si può offrire solidarietà senza in qualche modo condividere la realtà dell’altro. E questo è impossibile senza una positività di partenza, come quella che dà la fede.
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