Per una curiosa coincidenza, ieri il governo si è trovato chiamato in causa da due diversi tribunali su uno stesso tema: la gestione dell’emergenza migranti. A Palermo, dove si celebra il processo a Matteo Salvini per il caso Open Arms, l’avvocato Giulia Bongiorno ha pronunciato l’arringa difensiva chiedendo l’assoluzione per l’ex ministro dell’Interno accusato di sequestro di persona. Viceversa, a Roma la sezione immigrazione del tribunale non ha convalidato i trattenimenti dei 12 profughi raccolti nel Mediterraneo e trasferiti per primi nel centro di accoglienza appena inaugurato in Albania.



La notizia non sta in quanto è accaduto nelle aule di giustizia. “I confini, e lo dico convintamente – ha detto Bongiorno – contrariamente a quanto qualcuno pensa, lungi dall’essere strumenti di discriminazione, sono lo scudo della pace e se non ci fossero regnerebbe il caos. Chiedo per Matteo Salvini l’assoluzione perché il fatto non sussiste”. Il procedimento è stato aggiornato al prossimo 20 dicembre, quando si terranno le repliche e si riunirà la camera di consiglio. Ed era in qualche modo annunciato anche il pronunciamento dei giudici di Roma che, riguardo all’hotspot di Schengjin, hanno applicato il diritto europeo contraddicendo la precedente decisione delle Commissioni territoriali, le quali avevano respinto le istanze di asilo presentate dai migranti.



Il governo contrasterà quest’ultimo provvedimento: Giorgia Meloni ha già convocato per lunedì un consiglio dei ministri dove fare approvare “norme che servono a superare questo ostacolo”. Il braccio di ferro con le toghe in materia di immigrazione, dunque, non accenna ad avviarsi verso una tregua. Ma c’è di più. Come per il caso Salvini-Open Arms, anche la gestione dell’hotspot albanese è naturalmente un caso politico, oltre che giudiziario. Qui però non c’è in ballo soltanto la figura di un ministro: il confronto è tra l’Italia e l’Europa. Ed è un confronto trasversale. Perché le controparti non sono nettamente delineate come a Palermo, dove c’è un solo “cattivo”, cioè Salvini. L’idea di trasferire i clandestini in Albania, infatti, ha diviso il fronte dell’opposizione alla Meloni. Un certo numero di cancellerie europee è favorevole, o almeno non pregiudizialmente ostile, alla soluzione adottata dalla premier italiana: a partire da Ursula von der Leyen (“servono hub per i rimpatri nei Paesi terzi”, ha scritto l’altro giorno in una lettera ai leader dell’Ue), questo fronte comprende anche governi guidati dalla sinistra.



Solo Francia, Germania e Spagna si sono dette chiaramente contrarie. Ma è su questi Paesi che farà leva l’opposizione italiana (Pd, M5s, sinistra e il “partito di carta” guidato da Repubblica) per contestare l’operato della Meloni. Elly Schlein è pronta a trascinare il Paese davanti alla Corte di giustizia Ue per cancellare la “soluzione albanese” in nome della tutela dei diritti dei migranti. L’hotspot sull’altra sponda dell’Adriatico è stato fortemente voluto dalla Meloni come soluzione alternativa ai respingimenti per i quali Salvini rischia il carcere. Una formula “innovativa” per ospitare i profughi che avrebbe dovuto evitare gli effetti collaterali che hanno investito l’ex titolare del Viminale. Avendo pochissimi precedenti (per esempio, la scelta dell’ex premier britannico Sunak, che portò in Rwanda i migranti indesiderati), l’esito è un’incognita. E non verrà deciso soltanto nelle aule di tribunale, ma anche in quelle delle cancellerie europee. In ogni caso, i migranti restano un problema politico per i governi italiani.

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