Il comparto della difesa è da mesi uno dei migliori settori borsistici. I rialzi riflettono le attese di una stagione di commesse che non si vedeva da anni; Rheinmetall, attiva nei carri armati e nel munizionamento, da settembre 2023 è salita di quasi il 70% e dall’inizio del 2022, con l’invasione dell’Ucraina il titolo ha moltiplicato il proprio valore di quattro volte. Un destino simile è accaduto anche alla nostrana Leonardo e ad altre società europee del settore.



Gli investitori leggono di commesse governative per nuovi carri armati, obici o proiettili e vanno a colpo sicuro; sicuramente osservano con attenzione gli sviluppi politici che al momento non suggeriscono alcun cessate il fuoco o tanto meno negoziati per la pace. La scommessa degli investitori è precisa. Per esempio, le società attive nell’aeronautica militare hanno avuto performance positive ma non tanto quanto quelle attive nei mezzi di terra. Il conflitto a cui ci si prepara, questo il calcolo dei mercati, sarà terrestre e da questa osservazione originano decisioni di investimento molto pratiche. I criteri “ESG” che dovrebbero in qualche modo premiare società virtuose anche in ambito sociale (la “S” dell’acronimo dopo tutto sta per “social”) in questo caso non sembrano funzionare. Il “business” della guerra promette di essere molto florido e le commesse si misurano in miliardi di euro o, in qualche caso, in decine di miliardi di euro.



I clienti, gli Stati, sono da sempre ottimi compratori in questo settore perché i normali criteri non valgono e quello che conta è la qualità del prodotto e la rapidità di esecuzione; il prezzo è una variabile secondaria tanto più che i soldi sono quelli dei contribuenti. Date queste premesse, i produttori spuntano da sempre margini che nel civile non sono possibili; oggi che la guerra c’è per davvero a maggior ragione. In una fase di guerre commerciali, rivoluzioni energetiche e ristrutturazioni delle catene di fornitura, il business della guerra ha caratteristiche irresistibili: buoni margini, ottimi termini di pagamento, crescita dei ricavi, nessuna competizione o quasi, perché i Governi spesso ordinano senza gare, a prescindere dal contesto economico.



Quello che è già successo sui mercati finanziari non ha ancora un corrispettivo nell’economia reale. Prima che arrivino gli ordini di acciaio, di materiali chimici o elettronici arrivano i comunicati stampa delle commesse e gli acquisti di azioni sul mercato. Più il settore della difesa si espande e più la produzione di armamenti entra nel vivo, più si spostano, nell’economia reale, la richiesta di materiali per i nuovi impianti, di componentistica, di materie prime e di personale specializzato e non.

Dato che l’offerta di questi materiali e della forza lavoro è, in un orizzonte di medio periodo, stabile o persino decrescente vista la rottura delle catene di fornitura le conseguenze sui prezzi e sulla disponibilità degli altri beni sono inevitabili. Oggi è in atto un processo sui mercati finanziari che non ha ancora un equivalente nell’economia reale, ma che avrà conseguenze sulla vita di tutti.

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