La crisi della Silicon Valley Bank si accompagna a quella di tutt’affatto diversa natura del Credit Suisse, e questo comporsi di allarmi patologicamente dilatato dai social ha provocato una caduta delle borse mondiali. Non vi è nulla di comparabile alla crisi del 2007, diversamente da ciò che proclamano dissennatamente coloro che hanno gridato “Al lupo!”, mentre invece il lupo si era appena affacciato sulla soglia della sua tana – a differenza dei mestatori di disordine che sulla tana s’inerpicano.
I top manager della SVB avevano sovrainvestito – violando ogni regola prudenziale – in obbligazioni e così l’aumento dei tassi della Fed ha polverizzato la liquidità privando la rete di moneta, tanto più dinanzi al panico che si era creato agli sportelli. Il sovrainvestimento alimentava il valore delle azioni della banca e quindi teneva su le stock option del top management a riprova dei danni consustanziali insiti nell’ownership capitalism, ossia nel retribuire i manager come azionisti: la separazione tra proprietà e controllo deve rimanere ferma e costante. Retribuire troppo i manager e soprattutto distruggere in tal modo il managerial capitalism fondato sulla separazione tra proprietà e controllo ci porta alla rovina, oltre a essere disgustoso dal punto di vista morale.
In ogni caso quella saggia economista oggi con incarichi di governo che è la professoressa Yellen ha subito spento le fiamme, garantendo tutti i depositanti e quindi tutto finirà presto, anche se il campanello d’allarme peri manager troppo pagati spesso suona a vuoto.
Diversa la questione Credit Suisse: un esempio dì malagestione ventennale i cui tonfi sono ricoperti sempre dai capitali delle Monarchie del Golfo che si sono per qualche istante permesse di minacciare il crollo: si è trattato di una dichiarazione di guerra e di una mossa del cavallo, pronte a prender possesso interamente della banca e… di gran parte della stessa Svizzera. Di qui di fatto la nazionalizzazione della banca da parte del Governo federale svizzero.
Seguire il caso sarà interessantissimo. Seguiranno l’esempio della di fatto nazionalizzazione surrettizia di gran parte delle banche tedesche? O cercheranno una via originale ossia di co-determinazione dei destini della banca con gli azionisti prima citati?
Dopo il caso Fiat, dove operarono i dollari di Gheddafi (non a caso deposto anni dopo manu militari…), questa volta sarà interessante seguire il comportamento delle autorità svizzere e… nordamericane, perché troppi sono i segreti che dalle sale e dai caveau del Credit Suisse non debbono fuoriuscire, pena il disvelamento di molti passaggi cruciali dell’economia politica mondiale di questi ultimi anni.
Naturalmente di tutte queste questioni la Bce non ha capito nulla, continuando a cantare il ritornello dell’inflazione da salari come hanno affermato sulle tv italiche sprovveduti cantori delle università private che continuano a sostenere l’aumento dei tassi da parte della povera signora che governa, ahinoi, la Bce.
L’unico pericolo è sempre quello: curare per via monetaria un aumento dei prezzi di alcune materie prime alimentari ed energetiche per via prima della pandemia e ora delle sanzioni imposte a tutti per via dell’aggressioni imperialistica della Russia all’Ucraina.
Le banche italiane non hanno nulla da temere. Le regole funzionano e se danneggiano spesso le piccole banche per via della loro asimmetria, in questo caso funzionano. Il pericolo viene dalla mancanza di deontologia professionale dei seminatori di panico: chi semina vento raccoglie tempesta. È ora di smetterla… abbiate pietà.
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