Dacia Maraini è stata intervistata stamane dal programma di Rai Uno, Uno Mattina. Si parla della sua infanzia, del suo trasferimento in Giappone quando aveva due anni, una incredibile storia raccontata nel suo ultimo libro Vita Mia: “Mio padre vinse una borsa di studio internazionale per studiare una popolazione del Giappone. Mi sono trovata benissimo, all’inizio eravamo a Sapporo, nord del Giappone, c’era tanta neve che si usciva dalla finestra visto che la porta era bloccata”. Dacia Maraini ha proseguito: “Papà mi ha insegnato a mettere subito gli sci infatti io ho sciato per tutta la vita, ho imparato da bambina”. Sulla mamma, siciliana: “Lei era sportiva, andava in montagna a fare scalate e si sono trovati con mio padre proprio sullo sport”. Dacia Maraini ha proseguito: “Io mi consideravo giapponese, parlavo benissimo il dialetto di Kyoto, per me quella giapponese era la mia cultura”.
Ad un certo punto la vita di Dacia Maraini cambia però completamente: “Fino al 1943 eravamo perfettamente integrati poi il Giappone fece un patto con la Germania e l’Italia e chiesero a tutti gli italiani che abitavano in Giappone di firmare l’adesione alla Repubblica di Salò. I miei genitori non volevano firmare perchè erano contrari, mia mamma Topazia è stata coraggiosa. Mia madre chiese di mandare i suoi figli in Italia e in Svizzera, ma la risposta è stata negativa e quindi siamo stati con lei. Potevamo finire in un orfanotrofio ma mia madre disse di no ed ebbe un grande istinto in quanto quell’orfanotrofio venne bombardato durante la guerra. Mia mamma mi ha dato un esempio che spero di seguire tutta la vita”.
DACIA MARAINI E L’INSEGNATO DI PAPA’ FOSCO
La famiglia è quindi finita in un campo di concentramento: “Non ci davano da mangiare, la cosa più terribile era la fame, ci davano solo 20 grammi di riso e basta, eravamo tutti malati, ci cadevano i capelli, non si vedeva bene con gli occhi, mangiavamo le formiche, io avevo fame, se c’era un topo lo ammazzavamo subito e lo cucinavamo. La fame grida, io avrei mangiato le pietre”. E c’erano anche le bombe e i terremoti: “La casa non cadeva ma cadevano calcinacci, si rompevano le scale, si apriva la terra, si cadeva per terra, era angoscioso. E poi i giapponesi ci dicevano che appena avessero vinto la guerra ci avrebbero tagliato la gola”.
Sul papà Fosco, Dacia Maraini ha raccontato: “Una volta si è tagliato un dito e l’ha gettato addosso al nemico e per la cultura samurai quando succede questa cosa si crea un’obbligazione e non si può più chiamare una persona “vigliacco”. Fu un gesto coraggioso, perdeva sangue e stava quasi per morire ma ha funzionato: dopo una settimana è arrivato un po’ di latte che ci ha salvati”.