DUBAI – Quando ci si allontana anche solo per qualche giorno dall’Europa si ha la possibilità di guardare le cose con maggiore distacco e dare un’occhiata al nostro vecchio continente magari con affetto, ma anche con maggiore obiettività.

Se passate per Dubai e con il pensiero andate a quanto succede a Bruxelles, non potete che fare confronti purtroppo sconsolanti.



L’Europa si è incartata, incantata o incatenata: fate voi, il risultato è che come continente siamo drammaticamente fermi davanti ai cambiamenti del mondo e mentre gli altri corrono. E purtroppo noi europei non ce ne rendiamo conto.

Dubai è oggi uno dei centri – veri – del potere globale, una città sviluppatasi in pochi decenni e che solo trent’anni fa era un deserto di sabbia. Dubai ancor più di Londra o New York, perché è qui – allargando lo sguardo ad altri Emirati del Golfo e in generale alla penisola arabica – il nuovo centro propulsore dove si incontrano etnie e razze, lingue ed economie e dove si costruisce più velocemente il futuro, in un derby serrato con il sud-est asiatico e la Cina. Non è solo questione del petrolio, ma dell’uso politico e finanziario che si è fatto di questa risorsa.



In Arabia Saudita stanno costruendo (sarà ultimata entro il 2025) una città del futuro, Neom, lunga 250 chilometri sulla costa del Mar Rosso. Sarà – secondo i progettisti – del tutto autosufficiente per gli iniziali 400mila abitanti dal punto di vista energetico, senza auto ed ecologicamente perfetta. In quanti lo sanno in Italia?

Intanto che a Bruxelles si discute di immigrazione, sanzioni e biodiesel, a Dubai si incrociano famiglie russe che vanno e che vengono perché i voli bloccati in Europa verso l’ex impero sovietico passano adesso tutti di qui (e per Istanbul). Con i tanti russi che non sembrano minimamente preoccupati dalle sanzioni sciamano cinesi e indiani, americani e (pochi) europei. Il Golfo Persico è strategicamente diventato centrale perché è a poche ore dall’Europa, dall’Africa, dai grandi mercati asiatici. I prezzi sono accessibili e la qualità della vita ad alto livello, almeno per i cittadini emiratini.



Certamente tutto è basato anche sullo sfruttamento di milioni di immigrati dal subcontinente indiano e dal Nordafrica; i quali, comunque, qui stanno molto meglio che a casa loro. Una forza-lavoro immane e a basso costo, schiavi moderni copia-conforme di quelli che duemila anni fa puntellavano l’economia romana, solo che questi vi arrivano per scelta, sia pure indotta dalla necessità.

La discriminazione è visibile, a volte insolente; se per noi europei è bello pensare di essere “diversi” e più “politicamente corretti”, va notato che qui non ci sono centri di immigrazione rigurgitanti di disperati, né immigrazione clandestina, perché si arriva solo con il passaporto ed un contratto di lavoro; le porte però sono aperte per tutti.

L’Europa è lassù ad accapigliarsi sulle questioni energetiche, le sanzioni e la guerra in Ucraina (che da queste parti non interessa a nessuno) mentre qui siamo già al “post petrolio” fatto di solare, ma anche all’acqua desalinizzata e riciclata a volontà che irriga il deserto e trasforma la città in un giardino tra mille palazzi e la siluette del Burj Khalifa che – con i suoi 828 metri – è ancora, per ora, il grattacielo più alto del mondo.

Ma colpiscono soprattutto i centri commerciali, con una babele incredibile di umanità. Occidentali, russi, cinesi e indiani, i più diversi popoli dell’Asia, arabi e neri subsahariani. C’è di tutto, con i muezzin che (registrati) chiamano alle preghiere del Ramadan, anche se incontri sempre meno donne velate in un mix di società laica e religiosa, sicuramente tollerante non fosse perché indù indiani, cristiani filippini e musulmani sciiti e sunniti devono pur convivere.

La città è immacolata: non una carta per terra, un’aiuola fuori posto, un buco nell’asfalto neppure nell’estrema periferia, tra svincoli autostradali e monorotaie sopraelevate. Dubai è una città sicura, monitorata, un centro immobiliare, finanziario, economico fondamentale. A Malpensa l’ultimo aereo decolla alle 22.35 e il successivo alle 5.45 del mattino, al DXB – l’aeroporto di Dubai – i voli si susseguono uno al minuto anche in piena notte e se per qualche statistica è “solo” il 27esimo aeroporto del mondo è per il trucco di conteggiare ugualmente i passeggeri nazionali come gli  intercontinentali, sistema che dà fiato agli aeroporti americani e cinesi, altrimenti Istanbul e Dubai sarebbero tra le primissime posizioni.

Per due secoli l’Europa ha esportato colonialismo ma anche illuminismo e bagliori di democrazia, oggi è quasi assente ed anche i marchi più prestigiosi – dalla moda alle auto – hanno proprietà e cuori asiatici.

Siamo piccoli, contiamo sempre di meno eppure non vogliamo crederlo, ci consideriamo l’ombelico del mondo e non lo siamo più, sovrastati e incalzati da un’Asia ben più numerosa, potente, giovane. Forse dovremmo rifletterci un po’ di più e smetterla di considerarci i primi della classe: non serve e soprattutto non è vero.

In realtà questa diventerebbe una riflessione “pericolosa”, perché potremmo essere tentati di pensare che solo con un rinnovato rapporto con la Russia potremmo tornare protagonisti per materie prime, superficie, possibilità di sviluppo, mentre il rapporto con gli Usa, altra grande potenza in obiettivo declino, sembra più guardare verso il passato. Passato importante, struggente, sicuramente positivo, ma che sullo scacchiere mondiale conta sempre di meno. Tra l’altro un rapporto da sempre squilibrato, ma che adesso ci sta dissanguando sempre di più.

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