Gli Stati Uniti sono divisi in due, così scrivono i giornali. L’Italia è divisa in due, così ripetono giornalisti ed esperti vari. Cosa significa questa divisione per un paese grande come un continente e per uno invece piccolo come una grande isola?

Ogni Stato negli Usa si distingue, si caratterizza e si identifica in modo diverso. Sappiamo che ogni Regione italiana ama voler differenziarsi dalle altre. Allora con 50 Stati in un paese e 20 regioni nell’altro, si può parlare di divisione?



Il filo rosso si potrebbe trovare nel fenomeno del partitismo. Pochi sanno che negli Stati Uniti non ci sono solo i Democratici e i Repubblicani, ma anche gli Indipendenti (lo sapranno meglio dal momento che Michael Bloomberg si è appena candidato per la presidenza, e ora si parlerà di lui: uomo di tale potere economico ed esperienza politica con non due, ma tre mandati come sindaco di New York City, da far impallidire, e credo intimorire, l’attuale presidente). In Italia, dove si parla ancora di sinistra e destra, ci sono ora il Pd e la Lega, poi i Cinquestelle, che poco hanno a che vedere con gli “Independents”.



Gli Indipendenti negli Usa ( il 42%, contro il 31% che si identificano come Democratici e i 24% come Repubblicani: dati del 2017) sono anche chiamati unaffiliated voters: sono i cittadini che scelgono di non allinearsi con un partito e che generalmente votano per il candidato in base a ragioni legate a problemi politici e non per appartenenza partitica. Bloomberg è stato Indipendente, Repubblicano e Democratico, coerente con lo spirito degli indipendenti, che sono anche chiamati swing voters: votanti che si spostano, che alternano, che oscillano. Elettori che non sono ben visti da chi è leale a un partito, ma che diventano desiderabili quando un candidato cerca di incrementare il proprio numero di votanti.



Ricordo un pomeriggio estivo nel Connecticut prima delle primarie del 2019. La conversazione non poteva non arrivare a quella competizione che il paese avrebbe attraversato con grande agitazione e impegno a novembre. L’elegante coppia di amici entrò nel discorso con quello stile molto East Coast, pacato e interessato. Il marito disse subito, e categoricamente, che lui votava per il suo Partito Repubblicano sempre, non importava chi fosse il candidato, perché per lui la lealtà ai suoi valori era importante. Poi si voltò verso la moglie, la quale aveva un sorriso pronto, consapevole di ciò che lui avrebbe aggiunto, e disse: “Lei invece è folle, vota Indipendente”. Sorridendo e con dolcezza, lei pronunciò queste parole: “E non ti dirò mai per chi ho votato”. Così il loro equilibrio matrimoniale rimaneva solido.

In questi giorni, ossessivamente attenti all’impeachment nel grande paese e nel piccolo paese alle piazze che si riempiono di proteste, parlare di un paese spaccato alimenta un’atmosfera di terrore. Uso questa parola comprendendone la sua ferocia.

Ma quando mi trovo a pensare di dover tenere segreto il mio voto perché c’è chi mi dice che mi toglierà il saluto, l’amicizia o il rispetto se voto per un certo partito in Italia – allora non posso non sentirmi provocata, perché viene a mancare la libertà di espressione, di parola e di voto.