Il dibattito politico americano degli ultimi giorni si è concentrato su due provvedimenti che l’amministrazione democratica è riuscita ad approvare e che segnano senza dubbio un suo successo, perlomeno nei confronti del proprio elettorato.
Mercoledì scorso il presidente Biden ha annunciato il piano per una parziale cancellazione del debito universitario: verranno infatti saldati dallo Stato 10mila dollari di debito accumulati da cittadini con un reddito inferiore a 125mila dollari e 20mila dollari di debito per chi ha in passato usufruito di borse di studio federali (c.d. Pell Grant). Tale misura dovrebbe aver impatto su circa 10 milioni di americani, in buona parte giovani e appartenenti alla classe media, supportandoli nel pagamento di un debito (quello relativo alle rette e ai costi della vita universitaria) che per molti statunitensi è particolarmente significativo. Quasi tutti gli esponenti repubblicani hanno polemizzato, facendo notare come con questo provvedimento si usano le tasse degli operai, degli artigiani e in generale degli “hard workers” per pagare debiti accumulati dalla classe media. D’altra parte, Biden con questa mossa rafforza la propria popolarità proprio nei confronti dell’elettorato giovane e diplomato al college, che è tradizionalmente progressista ma nei cui confronti Biden ha sempre avuto una popolarità molto bassa.
Il 16 agosto è stato promulgato l’Inflation Reduction Act, normativa finalizzata a ridurre l’inflazione che prevede un aumento delle imposte sulle grandi aziende, un giro di vite rispetto alle multinazionali del farmaco che lavorano con lo Stato, nuovi finanziamenti per l’efficientamento energetico e la conversione ecologica e alcuni interventi finalizzati a contrastare l’evasione fiscale, compresa l’assunzione di numerosi nuovi dipendenti dell’Irs (l’Agenzia delle entrate americana).
In realtà l’impatto stimato dal Congressional budget office (agenzia federale indipendente) circa l’effetto di questa normativa sull’inflazione è molto basso, ma si tratta comunque di una manovra economica la cui portata è storica, pari a 800 miliardi di dollari, e che dimostra come il governo stia cercando di fare qualcosa contro l’inflazione galoppante, che sta “bruciando” gli aumenti salariali ottenuti da molti lavoratori nel post pandemia.
Il Partito democratico si prepara così alle elezioni di Midterm, cavalcando non solo le due riforme sopra delineate ma anche il tema dell’aborto: circa il 65% degli americani è a favore del diritto all’aborto, seppur con limitazione speso più ampie rispetto a quanto previsto da Roe vs. Wade, e una parte importante di questi vota repubblicano, o comunque è indecisa sul voto. I progressisti stanno forzando la mano su questo tema, dipingendo i repubblicani come nemici delle donne e rendendo il tema dell’accesso all’aborto come centrale della propria campagna, ottenendo il duplice effetto di compattare il proprio elettorato e di portare al voto il popolo degli indecisi, ultimamente molto cauto nei confronti del presidente Biden (i sondaggi sulla sua popolarità rimangono molto bassi ma il calo di consensi sembra essersi fermato). I risultati di alcune prime competizioni elettorali (ad esempio un referendum in Kansas – stato tradizionalmente conservatore – proprio sull’approvazione di una legge che avrebbe pesantemente ristretto l’accesso all’aborto, o la vittoria di un candidato democratico in un’elezione suppletiva di un collegio tradizionalmente conservatore dello stato di New York) sembrano dare ragione alla strategia democratica.
La strada verso le elezioni di Midterm è ancora lunga, si tratta di elezioni previste per l’8 novembre che portano al rinnovo di un terzo del Senato e dell’intero Congresso in cui il partito che esprime il presidente è tradizionalmente svantaggiato. Secondo il sito FiveThirtyEight in questo momento i repubblicani hanno il 78% di possibilità di riprendere la maggioranza alla Camera, ma i democratici hanno il 64% di probabilità di tenere il Senato (il sito Politico invece ritiene comunque più probabile una vittoria repubblicana anche lì), in quanto i candidati repubblicani Vance, Oz e Walker (tutti di matrice trumpiana) non stanno andando bene nelle campagne elettorali negli Stati chiave di Pennsylvania, Ohio e Georgia.
Il timore da parte dell’establishment conservatore è che l’influsso di Trump, pur galvanizzando la base conservatrice e portando masse di votanti alle primarie, rischi di far perdere voti tra gli indecisi e i moderati e pertanto sia di fatto un fattore negativo per il risultato elettorale. Di certo c’è che senza il controllo di entrambe le camere il presidente Biden farà molta più fatica a governare nei prossimi due anni di quanto fatto finora e saranno difficilmente possibili riforme di grande impatto come le due prima descritte.
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