A leggere certi media Usa di stretta osservanza “dem” – come ad esempio Politico – i veri criminali della guerra ucraina sarebbero i governanti tedeschi. Tutti “utili idioti” di “Adolf” Putin, senza neppure bisogno di una regolare Norimberga: prima fra tutti Angela Merkel. Tutti miopi commercianti di gas (magari “prezzolati” come l’ex cancelliere Gerhard Schroeder). Tutti, sotto sotto, un po’ revanchisti, come lo stesso Putin, dello strapotere americano sul pianeta.
È una violenza verbale che sembra eguagliare quella – sempre più controversa – sfoderata del presidente americano Joe Biden, sempre più contro tutto e tutti: non solo contro il Cremlino. Sul piano stilistico non può non rammentare i linguaggi-arma codificati dal politically correct nelle sue disparate “culture wars”. Ma per l’élite pensante d’oltre Atlantico, nocciolo duro dell’elettrorato “dem”, stavolta il tentativo di “cancellazione” si presenta spericolato perché contraddittorio. Il “caso Merkel” appare esemplare.
Non è stato a Berlino che è volato Barack Obama, poche settimane dopo che gli americani avevano deciso che il suo successore sarebbe stato Donald Trump? Non è stata la cancelliera Merkel, già proiettata verso la quarta vittoria elettorale (come Franklin Delano Roosevelt al culmine della seconda guerra mondiale) che il primo presidente “black live” della storia Usa aveva consegnato il testimone della democrazia in vista delle future “guerre di civiltà”? E non era forse Biden il vice uscente, quattro anni dopo rilanciato da Obama fuori della trincea contro il “russo” Trump? E non era – e resta – Merkel una ex tedesca dell’Est che quando incontrava Putin gli parlava in russo ma mai una volta con tono amichevole? Una “cancelliere d’Europa” sempre pubblicamente sdegnata da Trump? Non è la Germania l’esempio più macroscopico di un Paese lacerato dalla guerra che ha combattuto – pacificamente – per tornare unito? Che ha accolto un milione di siriani (in fuga da una “non-guerra” di Obama )? Non è la Germania che – al di là di molte narrazioni – ha fatto “passare il passato” di due guerre mondiali in Europa rinunciando al marco in favore dell’euro?
Non è improbabile che i “dem/polcorr” americani siano in realtà ansiosi di cancellare un loro fallimento: il voler decretare a propria vittoria esclusiva “la fine della storia”: indicando come nemici ultimi da abbattere i “caucasici” americani o europei resistenti all’inclusione globalista forzata; non il leader caucasico di Mosca, tanto meno quello non caucasico di Pechino. Ad altri – solo e immediatamente ad altri – vanno evidentemente addossate le responsabilità storiche da cui certamente non si potrebbe sottrarre Obama: premio Nobel per la Pace “a prescindere”, salvo poi seminare l’instabilità ovunque sul pianeta. Un presidente americano preoccupato principalmente del clima, oppure di operazioni mediaticamente scintillanti ma politicamente avventate: come anche la “rivoluzione” di Piazza Maidan, prodromo alla prima guerra russo-ucraina e alla svolta-Zelensky a Kiev. Dove gli oligarchi abbondavano e abbondano tutt’oggi; e dove non è detto che i “dem” americani si siano mossi in modo così diverso dai socialdemocratici tedeschi a Mosca.
Di tutto questo in una democrazia come quella americana sarebbe lecito attendersi si dibattesse. Ma negli Usa la principale guerra in corso non è quella in Ucraina: dove infatti la Casa Bianca non sembra tifare convintamente per un cessate il fuoco immediato. La vera “guerra di Biden” è la campagna elettorale per il midterm autunnale: con i dem in forte affanno in entrambi i rami del Congresso. Per questo nessuno – fra New York o Washington – chiede una (vera) intervista a Obama: meglio “cancellarlo”, almeno per ora. Meglio un’aggressione preventiva alla Merkel. Non si sa mai: qualcuno – a esempio all’Onu – potrebbe considerarla la figura giusta per rimettere assieme i cocci lasciati da Putin ma anche da Biden (nel frattempo la Nato ha prorogato per un anno l’incolore norvegese Jens Stoltenberg). E poi la Germania che si riarma, a Washington, non piace per nulla. Chissà, forse era meglio non porre il veto a Nord Stream 2, semplicemente in odio strumentale all’amico russo di Trump. È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso al Cremlino.
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