“Se davvero c’è la possibilità di accordarsi su Nato, Crimea e Donbass, senza che Kiev debba cedere territori o istituzioni ai russi, è un’ipotesi di soluzione diplomatica a cui bisognerebbe pensare. Non voglio dire che l’Ucraina debba arrendersi, ma c’è spazio per trattare”. Commenta così Andrew Spannaus, giornalista e opinionista americano, fondatore di Transatlantico.info, le dichiarazioni del presidente Volodymyr Zelensky, che ieri mattina ha aperto alla possibilità di un compromesso su Crimea e Donbass, esortando poi in serata gli occidentali a inasprire le sanzioni contro Mosca.
Nel frattempo da Bruxelles è giunta la notizia che l’Ucraina, assieme a Moldova e Georgia, ha depositato la richiesta formale di adesione all’Unione Europea. E se, da un lato, Macron e Scholz in un videocollegamento hanno chiesto a Xi Jinping di intervenire su Putin, in serata Joe Biden ha annunciato il blocco dell’import di petrolio dalla Russia, mentre la Polonia ha deciso di vendere i suoi Mig-29 agli Usa, che poi li gireranno a Kiev. In questo groviglio di dichiarazioni, tentativi diplomatici e schermaglie, secondo Spannaus un grosso interrogativo aleggia su questa guerra: “Fino a dove può spingersi il sacrificio dell’Ucraina?”.
Zelensky ha detto che “è possibile un compromesso su Donbass, Crimea e Nato”, però nel contempo ha evocato il rischio di una terza guerra mondiale e ha chiesto più sanzioni contro la Russia. Non solo: l’Ucraina, assieme a Moldova e Georgia, ha depositato richiesta formale di adesione alla Ue. A cosa punta il presidente ucraino?
Zelensky punta innanzitutto a sopravvivere, così come il suo governo. Cosa, tra l’altro, che secondo i russi rimane ancora possibile. Certo, con un paese commissariato. I russi dicono che sono pronti a fermarsi non appena Zelensky accetterà tre condizioni: non entrare nella Nato, riconoscere la Crimea come parte della Russia e riconoscere l’indipendenza delle repubbliche separatiste filo-russe. Temi già citati anche dal presidente ucraino.
Zelensky però non accetta ultimatum ed esclude la possibilità di una resa di Kiev davanti a Mosca.
Zelensky evidentemente non vuole accettare queste condizioni, così come l’Occidente, che da 8 anni si rifiuta di riconoscere la Crimea e chiede che il Donbass rimanga territorio ucraino. Difficile trovare un accordo senza cedere qualcosa su questi punti.
Quanta America c’è dietro le parole di Zelensky?
Con il progetto Roc (Resistance Operating Concept), varato nel 2018, gli Stati Uniti hanno adottato una politica di sostegno all’esercito e alla resistenza ucraini.
Un aiuto che sembra dare i suoi effetti, visto che l’avanzata russa sembra incontrare molte difficoltà, non è così?
Vero, ma questo rallentamento dipende anche da problemi logistici e di morale delle truppe russe e da dissidi interni nell’esercito. Ricordiamoci che non tutti i generali erano d’accordo con il piano iniziale dell’invasione. Gli Usa comunque stanno velocemente inviando armi, il loro obiettivo è alzare il più possibile il prezzo della guerra che i russi devono pagare per aver deciso l’invasione, evitando una vittoria rapida di Mosca. E questo significa non solo danneggiare la Russia, ma soprattutto creare malcontento interno contro Putin, visto che Washington resta convinta che lui abbia commesso un errore. Ma questa strategia solleva un grande punto interrogativo.
Quale?
Fino a dove può spingersi il sacrificio dell’Ucraina? Se davvero c’è la possibilità di accordarsi su Nato, Crimea e Donbass, senza che Kiev debba cedere territori o istituzioni ai russi, è un’ipotesi di soluzione diplomatica a cui bisognerebbe pensare. Non voglio dire che l’Ucraina debba arrendersi, ma c’è spazio per trattare, tenendo conto che, purtroppo, le opzioni di Kiev sono un po’ più limitate.
Dipende dal fatto che, come ha detto Macron dopo una telefonata con il leader russo, “Putin non cede su nulla”?
Putin non credo che cambierà le sue richieste. Ma se la posta in gioco fossero le tre condizioni di cui parlavamo prima, la paura che la Russia voglia prendersi tutta l’Ucraina e magari andare anche oltre viene un po’ meno. Sempre che ci si possa fidare delle proposte del Cremlino…
Macron e Scholz hanno incontrato in video conferenza Xi Jinping. Mossa concordata con gli Stati Uniti?
Gli Usa dall’inizio di questa crisi hanno volutamente coinvolto gli europei, che concordano le loro mosse. Per Biden l’obiettivo più importante è ripristinare l’unità della Nato tra Usa e Ue. Realismo vuole, poi, che una trattativa possa essere più facilmente portata avanti da paesi come Francia e Germania, che hanno dimostrato maggiore disponibilità al dialogo con Mosca negli ultimi anni, più che dagli Stati Uniti, i quali stanno affermando una linea più dura, più vicina a una guerra fredda, sebbene restino molto attenti a evitare situazioni che possono sfociare in uno scontro diretto.
Xi ha detto che “le sanzioni sono dannose per tutti” e che Pechino “si dice disposta a svolgere un ruolo attivo” e a “mantenere il coordinamento con Francia, Germania e Unione Europea”. Se la Cina entra in campo per fermare la guerra fra Russia e Ucraina quanto ci guadagna?
Per la Cina questa guerra non è positiva, sa di essere in difficoltà. Quindi può guadagnare qualcosa – per esempio, la Russia potrebbe diventare più dipendente da Pechino -, ma allo stesso tempo le sanzioni creano grossi problemi, come anche la volontà russa di affermare un’ampia sfera d’influenza.
Quanto è tollerabile per l’Amministrazione Biden che Pechino giochi un ruolo di primo piano in questa crisi?
Gli Stati Uniti hanno parlato con la Cina più volte prima dell’invasione, esponendo le informazioni di intelligence di cui disponevano e chiedendo a Xi Jinping di parlare con Putin. E rimangono sempre molto attenti su due temi, fondamentali, di lungo periodo: gli attriti fra Russia e Cina e le implicazioni sull’espansionismo cinese in Asia e soprattutto su Taiwan.
Il presidente Biden ha deciso di vietare da subito le importazioni di petrolio russo, mentre il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, ha affermato che è “imperativo” che i Paesi europei smettano di fare affidamento sull’energia russa. Washington non sta calcando un po’ troppo la mano? Non sta facendo la guerra sulla pelle e sulle spalle dell’Europa, che rischia di pagare un prezzo salato?
I principali paesi europei – Germania, Francia e Italia – all’inizio sono stati un po’ restii ad adottare sanzioni pesanti, poi si sono allineati sulla posizione Usa. È evidente che l’Europa ci rimette di più, lo sanno anche gli americani. Biden annuncia il blocco del petrolio russo, ma capisce benissimo che molti alleati non sono pronti a seguirlo. Ma la Ue stessa ha detto che vuole limitare la sua dipendenza dal gas russo, e questo è positivo, a prescindere anche da questa guerra. Non sarà però facile. Gli Usa non spingeranno l’Europa a suicidarsi.
Le trattative per un accordo fra Mosca e Kiev non fanno passi avanti e secondo alcuni osservatori Putin aspetta solo di reincontrarsi con Biden, perché lo considera l’unica controparte seria e l’unico interlocutore autorevole. I due prima o poi torneranno a sedersi intorno a un tavolo?
Putin negli ultimi mesi ha sempre detto che voleva trattare con il capo, la guida, che per lui sono gli Stati Uniti. In effetti, era stato avviato un rapporto diretto tra Putin e Biden, che sembrava promettente. Poi, nei fatti, la Russia ha scelto di spingere fino all’invasione militare. Credo però che i due torneranno a parlarsi, ma non a breve, ci vorrà del tempo, perché il clima è cambiato.
In che senso?
Biden, dopo tutto quello che ha detto e dopo tutti i passi che ha compiuto, non può certo riprendere come se nulla fosse.
E Putin?
Putin, che prima aveva cercato il dialogo o almeno la trattativa con l’Occidente, nell’ultimo anno ha abbracciato la posizione nazionalista russa, giustificando in termini culturali e storici l’operazione militare in Ucraina. Non solo: non sempre ha assunto decisioni gradite dall’establishment militare russo e nel frattempo vede crescere anche l’opposizione dell’opinione pubblica interna. Ecco perché credo che la sua posizione oggi sia meno salda.
(Marco Biscella)
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