“Dobbiamo lavorare insieme senza interessi di parte per mettere in sicurezza il Paese e aiutarlo a ripartire”. Le prime parole di Mario Draghi al Consiglio dei ministri subito dopo il giuramento sono state un messaggio politico. Del resto il suo è un Governo politico con una forte caratura tecnica. Politico perché è riuscito a mettere insieme partiti che erano in maggioranza e in minoranza, al Governo e all’opposizione, di destra e di sinistra. Non si tratta di “un’ammucchiata”, si tratta di salvare l’Italia con spirito di vera collaborazione bipartisan.
Non è poco ed è una novità: non era così il Governo Monti, e il Governo Ciampi del 1993-94, che molti hanno ricordato, fu votato solo dal centro-sinistra. Dunque, il primo colpo d’acceleratore è buono, ora ci si attende che Draghi si metta in moto con una prima scelta forte, che sia d’impatto e mandi un segnale di novità anche nei contenuti. A cominciare dalla lotta alla pandemia.
Se verranno confermate le prime indiscrezioni, il Governo vuole dare precedenza agli insegnanti e al personale scolastico nella somministrazione del vaccino, in particolare quello AstraZeneca che funziona sotto i 65 ani di età. In tal caso dovrebbe procedere in modo coeso evitando che ogni regione si metta di traverso. La presenza della Lega con uno dei suoi esponenti di punta come Giorgetti e di Forza Italia con una significativa presenza dovrebbe spingere anche le regioni guidate dal centro-destra a collaborare in modo convinto. Quanto alle altre, l’unica variabile è la Campania di De Luca. Si parla anche di far scendere Arcuri dalla piattaforma troppo alta in cui è stato collocato. Sarà un importante test per giudicare se ci sarà un vero cambiamento. E prima si fa meglio è.
Ma non c’è dubbio che la partita più complicata si gioca sull’economia. È una partita in due fasi, anche se non in due tempi, perché si intrecciano in modo inestricabile. La prima riguarda l’emergenza, la seconda la ripresa e il piano da 220 miliardi di euro. Draghi ha già indicato le sue linee guida: si tratta di uscire gradualmente dall’era dei sussidi per entrare nell’era della crescita. Alcune scadenze sono molto ravvicinate e saranno i primi ostacoli da superare per Daniele Franco, il nuovo ministro dell’Economia. Sappiamo che è stato scelto perché di lui Draghi si fida totalmente e non da oggi. A lui ha affidato di scrivere la prima versione della lettera che la Bce ha inviato al governo Berlusconi il 5 agosto 2011. L’hanno firmata Draghi come governatore della Banca d’Italia e Jean-Claude Trichet come presidente della Bce, ma a Franco in quanto capo del servizio studi è toccato entrare nel dettaglio.
Rileggerla oggi non è solo un esercizio storico, molte cose ovviamente sono datate (per esempio l’anticipo del pareggio del bilancio pubblico), ma la maggior parte delle raccomandazioni restano quanto mai valide, soprattutto quelle dedicate alle riforme: gli ammortizzatori sociali, le pensioni (quest’anno scade quota 100), il mercato del lavoro, la giungla fiscale, la Pubblica amministrazione, la giustizia amministrativa. Dopo dieci anni sono ancora sul tavolo. Il 31 marzo scade il blocco dei licenziamenti e non abbiamo ancora un’indennità di disoccupazione decente né agenzie del lavoro funzionanti. Dunque si andrà avanti con una proroga, gonfiando a dismisura la cassa integrazione (quella Covid andrà rifinanziata)? E come faremo a capire quale è stato l’impatto della pandemia su un settore produttivo che manifesta incoraggianti segnali di attività, ma che ha bisogno di sapere dove andare? Non parliamo del turismo che senza dubbio sta soffrendo più degli altri: quando sapremo chi può riaprire e in che modo? Ci sono scadenze importanti anche sul piano delle erogazioni assistenziali, senza dimenticare quella bomba a orologeria chiamata fisco: il 28 di questo mese scade la sospensione della riscossione, con una pioggia di 34 milioni di cartelle e 16 milioni di avvisi.
Aspettiamo, insomma, la prima manovra Draghi, che parte dai 32 miliardi di indebitamento in più approvati dal Parlamento, l’ultimo atto del Conte bis. Daniele Franco è un grande conoscitore della finanza pubblica, l’ha studiata a fondo in tanti anni alla Banca d’Italia, ma l’ha toccata con mano nei sei anni trascorsi come Ragioniere generale dello Stato, quando ha potuto conoscere in dettaglio i mille rivoli della spesa dal centro alla periferia. Ma Franco non è un contabile, ha un approccio da macroeconomista, cioè colloca sempre la politica fiscale nel quadro delle scelte complessive per far crescere il Paese. Lo ha spiegato nelle sue apparizioni pubbliche (sempre in occasioni ufficiali), l’ultima delle quali nel novembre scorso alla Giornata del risparmio. Allora ha parlato come Direttore generale della Banca d’Italia. “Occorre migliorare la qualità e quantità dell’istruzione – ha detto – accrescere gli investimenti privati e pubblici, aumentare la spesa in ricerca e sviluppo accelerare l’innovazione, migliorare il quadro regolamentare e l’azione della Pubblica amministrazione, facilitare l’aumento della dimensione delle imprese, recuperare i divari tra il Mezzogiorno e il resto del Paese”.
Vasto programma per davvero; e sia detto senza ironia perché non è altro che il programma Draghi.
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