RIO DE JANEIRO – Scusate, avevamo scherzato. Ci eravamo lasciati annunciando il lancio da parte del governo di un ambizioso programma sociale e una cruciale riforma della pubblica amministrazione. L’articolo, scritto il sabato, è andato online il martedì. Con perfetto sincronismo Bolsonaro indiceva una conferenza stampa e seppelliva di critiche la proposta del suo stesso governo: “Non tolgo ai poveri per dare ai poverissimi”.



Il presidente si è ripetuto questa settimana, su una rielaborazione del programma che prevedeva di sganciare pensioni e stipendi dall’inflazione. Sempre in conferenza stampa ha detto che chi farà proposte simili in futuro si prenderà il cartellino rosso. Contraddire e tirare le orecchie ai propri sottoposti è brutto in una riunione interna di un’azienda. Pubblicamente – e al più alto livello dello Stato – diventa imbarazzante, molto più per chi lo fa che per chi subisce.



Bolsonaro si dimostra piccino: senza la spina dorsale per affrontare un tweet avverso se la prende con i più deboli. È carattere, certo, ma rivela anche un cambiamento nei pilastri di questo governo.

L’alleanza che l’ha portato alla presidenza era composta dal suo elettorato tradizionale (la destra militarista, che non coincide con l’Esercito), dal movimento anticorruzione con Moro come icona e dai liberali in economia. Il collante era il terrore di passare altri quattro anni con le disastrose politiche economiche del Pt e della sinistra.

La lotta alla corruzione è uscita con le dimissioni di Moro. La coerenza sarebbe costata troppo a Bolsonaro: i suoi figli, coinvolti in vari scandali. Le ultime sceneggiate sanciscono il divorzio con i liberali, con il super ministro dell’economia Guedes, rimasto al suo posto per difendere l’ultima àncora rimasta per mantenere i conti in equilibrio: il tetto costituzionale alle spese del governo.



Bolsonaro torna a mostrarsi per quello che è: autoritario, populista e statalista. Chi lo sostiene ora? Gli strati più poveri della popolazione, che stanno ricevendo sussidi mai visti in precedenza, e l’alleanza con il centro parlamentare, sempre deriso come il simbolo della vecchia politica, ottenuta a forza di favori.

L’altro alfiere della “nuova politica”, il giudice Wilson Witzel, eletto due anni fa governatore dello Stato di Rio de Janeiro e prima alleato e quindi rivale di Bolsonaro, è intanto sotto procedura di impeachment per corruzione.

La politica deve cambiare, a tutti i livelli e in tutto il mondo. È difficilissimo e probabilmente impossibile. Quello che è chiaro è che i meno indicati a riuscirci sono quelli che si autoproclamano “nuovi”.