RIO DE JANEIRO – Nel sud del Brasile nevica. Nel nord, Bolsonaro vede la sua popolarità crescere. La cosa  strana è la seconda. L’ultima neve in Brasile è del 2013, l’ultima volta che il Nordeste non ha votato in massa per la sinistra è stato nel millennio scorso, ed è l’unica regione in cui Bolsonaro ha perso nel 2018.



La ragione principale è la “Bolsa Família”, il programma di aiuto creato da Lula per cui una famiglia povera riceve circa 200 real brasiliani (R$) al mese se manda i figli a scuola e li fa vaccinare. Nel poverissimo Nordeste sono valori che pesano.

Il sussidio per la pandemia è però di 600 R$ al mese, e con questo tante famiglie hanno visto raddoppiare il loro reddito. Il governo federale ha già passato 167 miliardi di R$ (circa 30 miliardi di euro) alle famiglie povere. Dopo qualche schermaglia tra il presidente e i governatori la Corte suprema ha chiarito che la responsabilità della lotta al Covid era di questi ultimi. Bolsonaro li ha lasciati a decidere le chiusure e contare i morti e lui è passato a distribuire aiuti. Ha guadagnato 5 punti di gradimento e, con un po’ di polemiche istituzionali in meno, il rigetto è calato di 10 punti. Non è mai stato tanto popolare dalla sua elezione.



Per blindare le elezioni del 2022 il governo sferra questa settimana il suo uno-due. Presenta “Renda Brasil”, l’accorpamento di Bolsa Família con altri programmi di sostegno che andrà a 20 milioni di famiglie (contro le 14 che ricevono ora la Bolsa Família), innalzando il contributo a 300 R$ al mese, e l’annullamento di tasse e contributi per gli stipendi inferiori a 1000 R$ per incentivare l’occupazione che sta dando qualche segnale di recupero.

Per equilibrare i conti, queste proposte sono state impacchettate in una proposta di legge con delle regole di riduzione automatica delle spese pubbliche nel caso ci si avvicini al limite stabilito nel 2016. Il “tetto” è stato introdotto da Temer, il vice-presidente di Dilma Rousseff che assunse il potere dopo il di lei impeachment. Gli hanno dato del criminale affamatore del popolo, ma grazie a questa riforma il tasso di interesse è passato dall’incredibile 14,25% al 2%, con i risparmi immaginabili sul debito pubblico. Il contenimento delle spese, però, è andato a colpire solo le spese di investimento della macchina pubblica, che ora si trova ad avere il 94% del suo budget destinato a spese obbligatorie (era il 75% solo 10 anni fa). La proposta del super-ministro dell’Economia, Paolo Guedes, prende di petto il problema e prevede invece il taglio degli stipendi dei dipendenti pubblici.



La battaglia è evidentemente cruciale. Si parla molto di corruzione, ma nessuno considera come tale l’aumento di posti e stipendi che i politici dispensano in cambio, evidentemente, di voti. Eppure anche qui si scambiano soldi con favori. Ma senza perdersi in definizioni e considerazioni qualitative, il sistema in Brasile è fuori controllo. In 11 anni i funzionari statali sono aumentati dell’11%, i costi del 125%, arrivando al 14% del Pil e mettendo il Brasile all’ottavo posto nel mondo. In altri paesi la sicurezza del posto è compensata da stipendi minori. In Brasile invece lo stipendio medio nel pubblico è due volte e mezza quello del settore privato, e la pandemia ha aumentato il gap. In giugno i lavoratori privati hanno preso il 25% in meno di quanto ricevevano prima della pandemia, per quelli pubblici la riduzione è stata del 3%. Il solco tra una casta ricca e garantita e una maggioranza sempre più fragile si fa più netto. Anche questa riforma andrebbe a ridurre la diseguaglianza, e anche questa, come la riforma fiscale a cui accennavamo nell’articolo scorso, sarebbe epocale.

Battaglia ardua, ma non impossibile. Il Brasile, con tutti i suoi difetti, ha già dimostrato la capacità – cruciale per un paese – di sapersi dare una direzione, e di seguirla poi con continuità. Non è di tutti.