È chiaro che in queste righe cerchiamo di raccontare del mondo carcerario o della Casa di reclusione di Opera gli aspetti più rasserenanti e migliori. È chiaro che non facciamo né la cronaca della vita ordinaria in carcere, né cavalchiamo la fin troppo facile tendenza alla lamentela, alla protesta, al dissenso, che potrebbe in un attimo sfociare nel rancore o nel risentimento.
Dunque quello che raccontiamo sono sprazzi di luce, che non danno quindi un quadro completo delle molte ombre che si annidano nelle carceri italiane. Lo sappiamo, è così. Ma è pur vero che gli sprazzi di luce ci sono.
Come il concerto dell’orchestra In Opera, che si è tenuto lo scorso 17 febbraio per i reclusi, e poi la sera del 18 per ospiti esterni. Da parecchi anni l’associazione Per Mi.To. anima e gestisce questo gruppo di “quasi musicisti” che, sotto la guida di due musicisti veri, Alberto Serrapiglio (clarinetto) e Stefania Morrone (pianoforte), maestri del Conservatorio di Milano, si cimentano nel suonare; e suonare in un’orchestra!
Sono proprio bravi. Quest’anno il concerto aveva un programma che mescolava alcuni brani di musica classica, forse un po’ semplificati, ma comunque…, ad altri di musica più leggera, come melodie etniche o canzoni popolari e vi sono stati anche alcuni musicisti che si sono azzardati a cantare, oltre che a suonare: con ottimo risultato! Una compagine di una dozzina di detenuti – nessuno professionista –, questa volta impreziosito dalla presenza come special guest di un quartetto d’archi composto da allievi del Conservatorio, hanno regalato un’ora stupenda.
I reclusi presenti nel pomeriggio del venerdì, compagni di strada dei suonatori, hanno molto apprezzato l’evento e goduto di un’ora rilassante, piacevolissima, emotivamente coinvolgente. E la sera del sabato, con il teatro del carcere quasi pieno (almeno 300 persone, se non di più), è stata un successone, con applausi e vivissima partecipazione di tutti.
Il concerto era stato codificato come “impegno sociale” dei reclusi coinvolti: i partecipanti alla serata, infatti, sono stati invitati a donare quanto volevano per l’acquisto di defibrillatori da dare poi alla casa di riposo per musicisti anziani “Giuseppe Verdi” di Milano, chiarendo che lo spettacolo era non solo il coronamento dello sforzo artistico dei protagonisti, ma anche un loro modo concreto e dimostrabile per riparare, marginalmente ma tangibilmente, alla ferita che hanno un tempo inferto alla società. Una tappa in un cammino di riparazione, di riavvicinamento alla normalità dell’esistere in comunità, che è forse il lascito più prezioso dell’iniziativa, comunque riuscitissima è davvero bella. Un aggettivo che usato in carcere, e per un’attività del carcere, pesa tantissimo.
Ci permettiamo di sottolineare un ultimo aspetto. Normalmente quando un gruppo di reclusi offre il prodotto di una qualche loro fatica, specialmente se si tratta della messa in scena di azioni teatrali, di spettacoli, di concerti come questo o realtà simili, sono presenti in sala anche i loro stretti parenti (figli, i fratelli, le mogli, i genitori…). Ma questa volta, per ragioni che sarebbe lungo scrivere, non è stato loro permesso venire. I “quasi musicisti”, così, non hanno potuto avere la piccola ma significativa gratificazione di suonare anche per i loro cari.
Ciò crediamo renda ancora più splendente il loro impegno Perché si sono impegnati a fondo e hanno dato il meglio di sé “per altri”, per la finalità benefica dell’evento, per l’amore alla musica e all’armonia… E questo, in un gruppo così, è davvero notevole.
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