Qualche giorno fa nel carcere di Opera i detenuti che di mattina vanno a verificare gli alimenti destinati ai loro compagni (la “Commissione cucina”) hanno respinto l’intera fornitura di frutta: era marcia.

Non un gesto “leggero”: risulta sgradito all’amministrazione, che deve rivalersi con il fornitore, nessuno vuole problemi. Però lo hanno fatto.



Da sempre le gare d’appalto per le carceri sono aggiudicate al massimo ribasso.

In questo 2022 il prezzo del vitto parte da 5,70 euro a persona e molti vincitori se lo sono aggiudicato scendendo a circa 3 euro.

In un bell’articolo uscito su Repubblica alcuni mesi fa (17 febbraio 2022), Federica Cravero ne dava tutti i dettagli scrivendo in sintesi: “Colazione, pranzo e cena in carcere costano (e valgono) poco più di 3 euro. Non a pasto ma in tutto”.



Val la pena considerare che lo Stato nutre ogni detenuto per un giorno con quello che una persona potrebbe spendere per la colazione al bar. Che ogni tanto la frutta arrivi marcia, non stupisce più.

E come sarà la carne? O il pesce che due volte a settimana è previsto dalle indicazioni ministeriali? La verdura? 3 euro circa, cadauno.

Negli ospedali il vitto dei pazienti costa da 13 a 15 euro. Solo il pranzo di un bambino della scuola elementare costa ai Comuni dai 5 ai 7 euro. Un pasto per adulto in un centro diurno supera i 7 euro.

Va da sé che il cibo delle carceri non sia prodotto con alimenti di qualità, non sia abbondante: chiunque faccia la spesa sa che con 3 euro non potrebbe dar da mangiare ai propri cari. Il “sistema” di fatto sta in piedi perché molti non prendono il vitto fornito, ma cucinano da soli i pasti. Questo rende più abbondanti le porzioni di chi invece “mangia dal carrello” e può evitare di prendere le cose peggiori. Si apre così un altro punto: nelle carceri italiane chi vuole e ha disponibilità economica può comprare viveri extra – “il sopravvitto” – che però spesso ha prezzi piuttosto alti (costa più di un discount, forse equivale ad un ipermercato, ma dipende da quale sia la catena).



È già capitato che sia emerso come la stessa ditta fornisca ad un carcere sia il vitto che il sopravvitto, con il sospetto che ci sia un interesse ad affamare da una parte i detenuti per poi arricchirsi con gli alimenti venduti.

A fine 2021 lo ha esplicitamente denunciato la Garante dei detenuti di Roma Gabriella Stramaccioni, che ha fatto aprire un’inchiesta della magistratura, suscitando un significativo vespaio, i cui effetti hanno spinto la ministra Cartabia ad avviare qualche modifica negli appalti, indire nuove gare, imporre la separazione tra chi fornisce il vitto e chi il sopravvitto.

Nel primo trimestre è stata istituita una commissione (un’altra!) per valutare le offerte presentate sui bandi transitori per il solo 2022, ancora ristrette al gruppo di operatori che finora si è spartito il lavoro con le carceri italiane. Il ministero ha asserito che “poi” si allargherà la rosa dei candidati anche a ditte della grande distribuzione, mutando le regole del gioco e aumentando la concorrenza nella speranza di un servizio migliore.

Qualche detenuto più caparbio della media magari respingerà ancora una fornitura. Ma forse la questione non è economica, è concettuale. Chi si prenderà la briga di verificare che nelle carceri arrivi frutta buona?

Preoccuparsi della frutta per i carcerati, temiamo, non porta voti.

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