Ancora un evento, nella Casa di reclusione di Opera, che merita di essere conosciuto. Si è concluso Emozioni all’Opera, un progetto che ha impegnato un gruppo di 20 detenuti che fanno parte dell’associazione In Opera, insieme ad alcuni ospiti del Centro diurno Il Camaleonte di Fondazione Sacra Famiglia onlus. Per più di un anno queste persone, affette da disagio o malattia psichica, accompagnate dai loro educatori, sono andate nel carcere per incontrare un gruppo di detenuti, che se ne sono occupati giocando, discutendo, facendo lavoretti manuali (lo scorso Natale, ad esempio, presepi fatti con il legno dei barconi dei migranti arrivati a Lampedusa) e costruendo in questo modo, gradualmente, un bel rapporto di reciproca fiducia, confidenza, persino di amicizia.
Così l’11 ottobre, nel teatro della Casa di reclusione, invece che un “solito” convegno di sintesi (che invece sarebbe stato un po’ noiosetto) le due “famiglie”, quella del Camaleonte e quella di Opera, hanno osato mettere in scena un prodotto che, mescolando linguaggi diversi (teatro, musica, fotografia) ha presentato l’attività e i suoi principali risultati. È stata una cosa notevole. Si sono messe in gioco le responsabili di associazione In Opera (Giovanna Musco) e del Camaleonte (Barbara Migliavacca) prestandosi a stare in scena per illustrare e raccontare, insieme agli altri volontari di In Opera, e a operatrici del Camaleonte (Laura Leone e Antonella Cavallaro) la storia e i passi del cammino. Anche la sorella di uno degli ospiti del Camaleonte s’è resa disponibile a recitare con una loro educatrice, come parecchi detenuti e malati sono diventati attori di un percorso pensato per l’occasione.
C’è stata musica (la chitarra e la voce di Giuseppe di associazione In Opera) e anche la commovente poesia in vernacolo “E’ ‘na famiglia sacra” di Mimmo, poeta casertano “abitante” a Opera, composta ad hoc e recitata con sentimento. Dopo questo spettacolo c’è stato tempo anche per una parte più tradizionale, dove, moderate da Giovanna Musco, sono intervenute personalità autorevoli per parlare del progetto Emozioni all’Opera: don Gino Rigoldi, cappellano del Beccaria, per Fondazione Sacra Famiglia, lo psichiatra Emilio Castiglioni e la psicoterapeuta Melissa Cozzi, la psichiatra Emanuela Butteri dell’ospedale Sacco, per la Casa di reclusione l’ispettore Daniele Talanti, l’educatrice Maria Luisa Manzi, il direttore Silvio Di Gregorio.
Ma il fatto che è rimasto di più negli occhi e nel cuore di coloro che hanno assistito all’atipico evento è la sintonia. Un risultato raggiunto nel tempo con molto lavoro. Perché all’inizio del cammino, quello dei detenuti e quello dei malati erano sicuramente due: erano addirittura diffidenti, separati dal peso del pregiudizio che grava sulle due categorie (”delinquenti” e “matti”). Non è stato né immediato né scontato riconoscere lo stigma sociale come tale, dargli un nome preciso, discutere e riflettere su quali emozioni ciò procurasse, imparando a riconoscere quelle bloccanti o addirittura distruttive e distinguendole in quelle che invece muovono al bene. A poco a poco è diventata comune una percezione diversa e superiore, fino ad amalgamare i due gruppi in uno, che è quello che si è visto sul palco.
Lo si è visto quando un paio di “delinquenti” sono corsi ad aiutare Livio che non riusciva a scendere la scaletta che unisce il palco alla platea e rischiava di cadere; lo si è visto nelle espressioni serene e allegre dei frequentatori del Camaleonte che sorridevano a chi stava loro vicino, appoggiandovisi in piena fiducia e massima disponibilità. Lo si è percepito nelle parole che -costruite e sviluppate nel tanto lavoro di dialogo durante i mesi del progetto- si sono condensate nelle interviste filmate che facevano da sfondo all’evento. E lo si è sentito quando tutti loro hanno gridato (era la scena finale dello spettacolo) innanzitutto a sé stessi, ma anche a tutti coloro che volessero ascoltare, che loro non erano né il loro reato, né la loro malattia e che queste -pur rimanendo ineludibili verità con le quali fare i conti- possono essere superate e non hanno l’ultima parola.
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