Sono belle le tradizioni: danno un sapore di continuità, di storia, dell’evolversi del tempo che però ha punti fermi e stabilità. È proprio così che si vive, ogni anno, la “Colletta” che il Banco Alimentare organizza in tutt’Italia, mandando stuoli di volontari davanti a supermercati e punti vendita a chiedere, a chi fa la spesa, di donare un poco di cibo pensando a chi non ne ha abbastanza. Un’iniziativa che mobilita risorse importanti di menti, di mani e di cuori che si alleano per raccogliere, ordinare, distribuire cibo, frutto della generosità di altri cuori e altre mani, che ormai sono migliaia. Ogni volta, il computo delle tonnellate raccolte aumenta, anche perché la serietà e professionalità del Banco garantisce che nemmeno un pugno di riso, nemmeno una scatoletta di tonno, una confezione di pasta o di zucchero andrà sprecata.



Da diversi anni, questo appuntamento è entrato anche nelle carceri – sicuramente in quelle del Nord Italia, ma a poco a poco si sta estendendo altrove, perché è una bella cosa, un “contagio” buono che prende e al quale non si riesce proprio a dirsi indifferenti. Anche nella Casa di reclusione di Bollate la Colletta è attiva da tempo e, come del resto in tanti altri luoghi detentivi lombardi, si deve alla brillante iniziativa dell’Associazione Incontro e Presenza, ente di volontariato che opera mille attività e mobilita dentro le prigioni parecchi “ospiti”. Nei giorni precedenti l’appuntamento nazionale, questi si danno da fare per informare tutti e promuovere la Raccolta, coinvolgendo altri in una specie di gara di generosità che stupisce. Sì, perché in prigione, possiamo dirlo senza cerimonie, non ci sono “stinchi di santo”. Però, i giorni della Raccolta Alimentare trovano una via spesso trascurata per arrivare al nocciolo delle persone, facendo risuonare corde spesso inattive, tirando fuori un “meglio”, un “bene” che giace sovente sepolto dal grigiore dei giorni, dalle tensioni, dalla reclusione… ma non in quest’occasione.



Quando poi arriva il giorno della Colletta – quest’anno, sabato 16 novembre – accade una giornata di allegra confusione, dove volontari festosi (difficile distinguere in quelle ore i detenuti dagli “esterni”) hanno raccolto le donazioni, hanno preparato scatoloni, li hanno pesati… Quest’anno 1.165 chilogrammi di cibo sono stati raccolti nella C.R. di Bollate; ancor di più in quella di Opera; altre scatole e altri chili dalle altre carceri… Basterebbe questo per ricordare di quel sabato, fissarlo bene nella memoria, gioire per la tradizione rinnovata. Ma a Bollate non è bastato. Il sabato successivo, “quelli di IeP” come li si chiama qui, hanno riunito quanti avevano collaborato.



È stato molto intenso: c’erano tre reclusi che avevano speso uno dei loro permessi premio davanti a un supermercato milanese, condividendo con altri il “lavoro” di chiedere alla gente di donare, raccogliere il dono, sistemarlo… e ne erano a dir poco edificati. I loro commenti più frequenti sono stati: “meraviglioso”, “esperienza fantastica”, “mi ha arricchito“. Ma le parole che più aiutano a cogliere il significato che questa tradizione ha per chi è recluso, sono quelle dette da due “ospiti” di Bollate. Uno di loro ha dichiarato: “ho passato la vita a togliere cose, a prendere… adesso con la Colletta mi sembra di recuperare un po’, di restituire, di rimediare. E mi piace tanto”. Applausi.

Ma poi un’altra persona ha aggiunto: “Io invece ho tolto molto di più, io ho tolto la vita a molti, e nemmeno me ne accorgevo. Non posso né restituire, né rimediare; ma posso voltare pagina, posso cambiare. E anche la Colletta mi aiuta e mi spinge: è un Dono a me, prima e più che a quelli cui diamo il cibo”. E questa volta non ci sono stati applausi, ma un silenzio commosso e partecipe. Sicuramente una frase così, detta da uno dei “cattivi” che stanno in carcere, ha un sapore nuovo.

Ancora, si potrebbe concludere e dire che anche il secondo sabato è da ricordare, forse anche più del precedente; però mica finisce qui. I baldi volontari di Incontro e Presenza avevano ottenuto l’autorizzazione a trascorrere il pranzo con i “volontari interni”; avevano portato semplici cibi da fuori (ottimi, peraltro e molto graditi), e avevano coinvolto un “interno” (che si chiama Alessandro anche lui, ma non è chi scrive qui) il quale ha preparato una valanga di pizzette meravigliose per aspetto e saporite per il gusto. Una vera impresa, visti i pochi mezzi a disposizione: vi ha lavorato tra la notte precedente e l’alba di quel giorno e le ha offerte al gruppo, il quale ha impiegato meno di due minuti a distruggere il suo lavoro, davvero apprezzato! Dopo di che, chiacchiere, allegria sana, conversazione, scambio di battute e di simpatia. I saluti a Cristina, storica volontaria a Bollate che si trasferisce fuori Italia da metà dicembre e dunque lascia il suo impegno nel carcere, con un lascito di affetti, di storie e di ricordi che non svaniranno.

Perché certi momenti, sì, sono proprio da ricordare.

 

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