In televisione si parla del Meeting di Rimini. È comprensibile, siamo in agosto e c’è fermento. Quest’anno cade nel bel mezzo di una infuocata campagna elettorale e ha sullo sfondo la guerra in Ucraina, la crisi alimentare globale, le tensioni in Estremo Oriente, gli esiti della pandemia.

Ma a me il pensiero (o forse il cuore) ha fatto fare un tuffo all’indietro. A tanti anni fa, nella giovinezza di studente in Cattolica e, dopo la laurea, non più studente ma studioso, sempre in quell’ateneo. Anni di vita universitaria in cui di questa strana cosa si iniziava a parlare e avevo tanti amici che ne magnificavano le prospettive. Allora in molti dicevano che era una chimera. Ma capita che ciò che sembra chimera poi si riveli profezia.



Ricordo discussioni, ricordo polemiche tra posizioni diverse, ricordo conversazioni e dibattiti su che cosa fosse o potesse essere. Allora non era nemmeno paragonabile a quello che è diventato, anzi, a quello che è ormai da anni; ma non penso sia cambiato lo spessore del coinvolgimento. Creare un insieme di eventi che incidessero sulla società con le armi della cultura, della riflessione, del confronto. Sapeva di entusiasticamente pazzesco.



Ma chi volete che ci venga… a fine agosto… la gente è in vacanza… e poi a chi importa di ’ste cose… Ricordo di aver litigato con qualche amico testone che proprio non capiva che persino in agosto, persino in vacanza, persino nella Romagna della movida (allora non si chiamava ancora così) ci sarebbe stato lo spazio e l’opportunità per agire cambiamenti, per smuovere menti e coscienze, per praticare una solidissima testimonianza attiva. Quante parole…

Alla fine c’era chi andava a preparare, c’erano i ragazzi, ma anche gli adulti che spendevano le loro ferie per rendere possibile il Meeting; c’erano intere famiglie che passavano lì quei giorni a dare una mano, mentre incontravano persone, ascoltavano discorsi e riflettevano e si confrontavano. Seminavano. In gran parte nei primi anni fu una semina per un futuro intravisto che nulla e nessuno garantiva.



Eppure è successo. Oggi il Meeting che tutti chiamano e riconoscono così per antonomasia, è un appuntamento imprenscindibile per molteplici aspetti. Ci vanno i grandi nomi della politica, della cultura, della società tutta; le televisioni si spendono per riprendere e parlarne; ci sono le conferenze, gli incontri a dibattito, le mostre, gli eventi culturali. Si riempiono i social di notizie, streaming, cose da vedere e da leggere. Ha superato persino il lockdown, dimostrando che è un patrimonio condiviso, molto al di là dei confini di chi lo ha voluto molto tempo fa. E penso che per coloro che vanno rimanga vera innanzitutto quella traccia che ancora mi ha commosso quando ho sentito il lancio in tv. Con la certezza che mi è zampillata dentro, a me che non vi sono potuto andare: esserci vale la pensa, partecipare da lontano grazie alle tecnologie vale la pena, condividere l’esperienza vale la pena. Non ci sono tanti convegni o seminari, ma nemmeno fiere o kermesse che abbiano questa capacità di incisione profonda.

Viva il Meeting dunque. Sempre con immutato studium, direbbero i latini, ovvero desiderio e interesse. Anche passione. Da decenni.

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