C’era una volta, in un carcere lombardo, un gruppo di detenuti che si trovavano in biblioteca, poiché i loro orari coincidevano. Chiacchierando tra loro, scoprono che tutti sono incuriositi dall’argomento “Divina Commedia“, perché se ne sente spesso parlare, anche con grandi accenti di lode, ma quasi tutti l’hanno conosciuta a scuola e, come purtroppo spesso accade, ne portano un ricordo pesante, di lettura noiosa, testo incomprensibile, discorsi stranissimi. Ricordano che Dante veniva presentato come “importantissimo”, ma non avrebbero proprio saputo dire perché mai dovesse essere considerato tale. Tra loro c’era anche uno che invece su Dante aveva qualche cosa da dire, lo conosceva per averlo studiato un po’, o forse diremo “frequentato”, da appassionato. Propone di mettersi a leggerlo insieme e gli altri accettano. Così Dante entra in quell’improbabile gruppo che si ritrova a leggerlo sotto la guida del “prof”, come immediatamente viene chiamato quello che lo ha proposto (in galera i soprannomi sono una costante).
Tutti scoprono che Dante ha avuto una vita interessantissima, che è stato un marito affettuoso e un buon padre, che era tutt’altro che un “letterato” nell’immagine irrealistica che spesso si associa a questo termine, anzi!, ha coltivato passioni, avuto amici grandi e pure coltivato astio e rancore per gli avversari, è stato tradito, aiutato, promosso e ostacolato.
Attivissimo in politica, nel governo di Firenze, nella diplomazia, forse addirittura nello spionaggio. E quando scoprono che ha attraversato processi, che è dovuto scappare dalla sua terra per evitare condanne pesantissime, che ha sofferto, lo riconoscono come “uno di loro”. Da lì ad accettare di entrare nel suo mondo superando tutti quei frettolosi pregiudizi che accompagnano quello che si subisce a scuola, il passo è stato breve. Hanno scoperto che Dante racconta meravigliosamente, che sa toccare ogni corda emotiva e ogni pensiero, che è alto e colloquiale, che riesce a dire cose difficilissime con poche efficaci parole, che affronta argomenti che non finiscono mai come libertà, amore, amicizia, attenzione agli altri, vizi e virtù delle persone. Ma sa anche di politica e dello scontro che ne deriva, della psicologia e del mondo delle relazioni, di argomenti culturali complessi e tematiche quotidiane, di questioni legate alla fede e alla religione e aspetti della vita di famiglia, di economia, società.
E così quel gruppetto di reclusi, che hanno alle spalle errori voluti e torti subiti, che hanno arrecato danni ad altri e ne portano il peso, che sono spesso stati esclusi dalle opportunità del mondo, imparano e crescono. Dante li accompagna e comprendono che sta facendo con loro quello che nella Commedia Virgilio fa con lui: li guida, li orienta.
La traccia di quell’esperienza attraversa la mente e il cuore di coloro che vi hanno partecipato, e rimane. Per cui non appare strano che ancora risuoni e sia di stimolo, tanto da portare chi oggi è ospite nella Casa di reclusione di Opera a intervenire con gioia a un evento proposto dall’Associazione Kerkis che ha portato nel teatro dell’Istituto Umile alta, lavoro promosso e organizzato da altri due enti, le associazioni Ippogrife e Radice AR, di Livorno, che hanno messo in scena alcuni canti della Commedia, non semplicemente “letti”, come potrebbe fare un attore, anche bravissimo. Ma grazie agli studi sul metro dantesco e sul suo uso della terzina, sotto la guida del regista, il prof. Gregorio Bottonelli, i bravissimi interpreti (Niki Mazziotta, Letizia Colonnacchi, Gaetano Ventriglia) hanno recitato, spesso in forma “corale” all’unisono, i testi scelti, creando un effetto musicale assai coinvolgente che arricchisce e illumina la profondità del contenuto.
Già così, sarebbe una cosa nuova e di grande impatto: tutti i presenti (non pochi) hanno poi detto che ne sono rimasti piacevolmente sorpresi. Ma non basta, perché le letture armoniche erano intervallate da canti, concettualmente connessi con i versi danteschi, come ad esempio Hastaym, canzone d’amore armena dolce e struggente che ha accompagnato l’incontro di Dante con Paolo e Francesca.
E ci sono stati anche Le dodici parole della verità, di origine ebraica ma poi ampiamente diffuso e rivisitato, o una splendida Ninna nanna dalla tradizione popolare toscana. Canti eseguiti “a cappella”, per cui solo la voce – purissima, potente e melodiosa, magistrale – della cantante Niki riempiva i cuori degli spettatori. Un grande successo. Alla fine, travolti dalla bravura dell’interprete, tutti hanno a gran voce chiesto un bis e lei, che ha esperienza e scuola di interprete jazz e soul, ha eseguito Amazing Grace, in una versione lenta e dolcissima.
Un indimenticabile incontro, tra le persone e con un genio, che ha fatto molto bene a tutti. In platea c’erano molti che la società etichetta frettolosamente come scarti, probabilmente pericolosi, dal passato fosco. Bisognava vedere le loro espressioni, contare i tanti occhi lucidi dai quali è proprio scesa qualche lacrima, per comprendere che il pregiudizio non fa bene. E che Dante, specialmente se reso così, ha un potere risanante e riparativo.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI