Pasqua; pasqua significa “passaggio”, “mutamento”, “trasformazione”… e sembra che abbia poco senso dirlo in galera, dove il cambiamento è rarissimo, il passaggio rimandato da anni, trasformazione è solo quella dell’età che macina il tempo.
Un tempo segnato da una quaresima che sembra non finire, che anzi per alcuni non ce l’ha proprio una fine. Tempo in cui occorre vivere come Giobbe nel profondo delle sue sciagure, imparando da lui a pazientare, a non maledire, a non imprecare; e sarà già molto.
Si avverte nei volti di tanti, in questo non luogo dell’attesa e del distacco, che la Pasqua vera è molto assente. Pasqua come “Resurrezione”? Come “Rinascita”? Occorre trovarne un tenue accenno in un pacco un po’ più ricco che ti giunge da casa (per chi abbia una famiglia che gli stia vicino), o nella colomba che si può comprare nella “spesa” settimanale, augurandosi poi che ti arrivi, perché mica sempre.
C’è stato, a teatro, uno spettacolo molto intenso. La notte degli ulivi di Éric-Emmanuel Schmitt. Vi si rappresenta Gesù stesso che in un lungo monologo immaginato in quella notte trascorsa nell’orto degli ulivi, discute, commenta, si interroga sul senso e sul valore della Sua missione… Poteva essere un’occasione per ritrovare il significato di quella parola, ma eravamo pochissimi a vedere lo spettacolo: meno di cento persone sui 1.400 ospiti dell’“Hotel Opera”. L’interpretazione di Christian Poggioni è stata magistrale, ma ha parlato a un gruppetto.
“Lasciamo stare – mi ha risposto uno che, dopo lo spettacolo, cercavo di “costringere” a venire a Messa per la domenica delle Palme – lasciamo stare. La Pasqua è buona per i miei bambini, fuori, con le uova e tutto… Qui altro che ulivi, altro che pace, altro che festa… Lasciamo stare”.
Come lui, tanti che hanno declinato i miei tentativi di ricordare che al di là di tutto, questa è la Grande Festa, questa è la Festa della Salvezza vera, questa è la fonte del significato. Senza quel fatto, senza la Risurrezione di Gesù, nessun evento di libertà sarebbe stato possibile. È questo giorno che nutre la Speranza, che garantisce sull’esistenza di un Disegno. Un Disegno di bene, un Disegno bello.
Io non ne dubito, grazie al Cielo. Pur se spesso mi chiedo: ma nel frattempo? E se lo chiedono in tanti anche al di là di queste mura dove mi trovo io; “fuori”, dove incertezza sociale, precarietà, insicurezza, relativismo e confusione fanno da sfondo alla vita di molti; per non dire di guerre, migrazioni, pandemia… Nel frattempo, rimane solo la pazienza di Giobbe?
No. Assolutamente no. Anche qui, anche dove festa o gioia sembrano avere scarsissima presenza, ho sperimentato di non essere affatto solo. Perché ho una meravigliosa famiglia, perché ho quella consapevolezza che viene dall’Alto – nessun merito – e soprattutto perché ho amici, dando alla parola a significati assai più densi del senso lieve e provvisorio dei contatti sui social o l’aspetto materiale di chi solo ha da far qualcosa insieme. Anche, certo; ma soprattutto dice la realtà di persone che condividono la vita nel profondo, che si riconoscono uniti. Che sanno partecipare ai dolori e alle gioie. Da questi incontri si riscopre anche e concretamente il rapporto con l’Amico per eccellenza, con Lui che tanto ama da dare la vita per riscattare la mia, la nostra.
Mai si spegnerà la Speranza; perché si alimenta già qui e ora di certezze autentiche. È bellissimo ed è ciò che autorizza a dire ancora: buona Pasqua!
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