Parlare del Natale alla fine di questo 2023 non è agevole. Siamo stremati dalla guerra in Ucraina e poi da quella tra Gaza e Israele. C’è stata anche l’invasione del Nagorno Karabakh (ma a chi importa degli armeni?). L’Africa non è pacifica, tra colpi di stato, “pulizie etniche”, azioni jihadiste e combattimenti continui. E dicendo ciò, si dice solo dei macro-fenomeni; mille altre ragioni (si continua a morire nel Mediterraneo e sui monti dei Balcani; troppe donne sono fatte oggetto di violenze; i poveri sono sempre di più) sottolineano che “pace”, “gioia”, “serenità” e le altre parole che si associano alla Festa, non hanno cittadinanza nel mondo. Anche qui a Opera, nella Casa di Reclusione, tutto il mese di novembre è trascorso come gli altri. Da una settimana circa si avverte che alcuni parlano dell’acquisto dei panettoni, o del “pacco” che i familiari porteranno nei giorni immediatamente prima del 25 con cibo e dolci. Qualcuno si preoccupa di spedire un biglietto con gli auguri a parenti o amici.
“Segni” che qualcosa c’è, che dicembre è diverso, che si aspetta qualcosa o Qualcuno. Debolissimi segni, ma forse bisogna accontentarsene, in un luogo dove il rumore non smette mai, dove i problemi permangono, dove soprattutto e comunque grava in ognuno la consapevolezza della separazione. Il Natale si nasconde. Qui lo fa tra le cose ordinarie e ripetitive; fuori, tra le luci rutilanti del commercio. Ma del resto, non è stato così fin dall’inizio? Chi mai si accorse, allora, della Nascita? Era stato scritto, si sapeva che da Betlemme di Giudea doveva arrivare il Salvatore; ma chi ci pensava? Lo seppero solo pochi stralunati pastori che chissà mai che cosa compresero, e i Magi, così alieni da tutti gli altri.
Si nasconde. Ma ciò non significa che non lo si possa individuare. Persino qui, a poco a poco s’è affacciato qualche indizio. Due settimane fa circa, molto in anticipo sulle abitudini, il capo posto ha chiamato perché c’erano da allestire il presepe e l’albero di Natale. Assai prima del solito; stupore cresciuto al vedere che l’albero era stato fatto da un detenuto che, con pazienza certosina e procurandosi i materiali chissà come, lo ha realizzato con tecniche origami: è un albero di circa settanta centimetri di altezza, che risulta robusto benché di carta, cui sono state appese decorazioni, visibilmente nuove. Il presepe è pure una sorpresa: grande tanto che s’è dovuto cambiare il solito tavolino che era insufficiente; ha una capanna di notevole fattura e tutto ciò che la tradizione richiede.
Poi si è scoperto l’arcano: la direzione, che ben sa delle ristrettezze in cui trascorriamo questi due ultimi mesi dell’anno, ha dato spazio alla Cappellania che, in collaborazione con i volontari Scout, ha fornito cose nuove per arricchire il nostro Natale. La zona della Cappella, la settimana scorsa, è stata addobbata: mani abili hanno là costruito un Presepe grande e curatissimo. E poi dicono che i miracoli non esistono! Altra “novità” è che il 23 la Cappella del carcere sarà sempre aperta e i sacerdoti saranno disponibili alle Confessioni: mai successo. Qui “confessione” suona malissimo, come “pentimento”; “Riconciliazione” è termine sconosciuto. Secondo miracolo.
Il 25 ci sarà la santa Messa, con il piccolo “coro” locale che avrà per l’occasione rinforzi dall’esterno, sarà una Messa più solenne, celebrata da un vescovo ausiliare mandato da zio Mario, come qui viene abitualmente chiamato il nostro eccellente arcivescovo – che benevolmente sorride. Terzo miracolo. Non sembri troppo dir così. Bisogna essere qua per comprendere di che si parla. Quando si passa davanti al “blocco agenti”, molti guardano quel presepe, che è lì accanto. Si sono già notati singoli o gruppetti che vi si fermano davanti: qualcuno magari solo per un’occhiata, ma si vede che altri fanno di più. E si parla di persone che, essendo qui, sono “rei”, colpevoli. Alcuni poi si dicono cristiani; molti, nemmeno quello. Ma si nota la loro sosta: più o meno rapida, ma non fugace. Persino in questa casa (di reclusione), un presepe aiuta a lottare contro l’indifferenza, contro la tristezza sempre in agguato, contro la lontananza dagli affetti; persino qui, le statuine risvegliano la Speranza, e il bue e l’asinello riscaldano.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI