Il pomeriggio del 19 giugno ha concluso improvvisamente la sua vita terrena Denny Pruscino.
Uno degli oltre 600 lavoratori della Cooperativa Giotto.
Uno tra i tanti? No! Uno, una persona unica come unico è ciascuno di noi e con un valore infinito e misterioso com’è per ciascuno di noi.
Lavorava alla Giotto dal 2019, frequentava il percorso di TeatroCarcere Due Palazzi diretto da Cinzia Zanellato e seguiva il Gruppo.R per uomini maltrattanti condotto da Nicoletta Regonati e Dario Dentella.
Oggi Denny era ed è una bella persona, certo con tutto il carico del suo passato dentro il suo cuore.
Ci viene alla mente la frase che un delinquente incallito, Ilario, nel 2005, assieme ad altri “brutti assassini”, proprio dallo stesso carcere dove ieri è mancato Denny, scrisse al Papa e al presidente della Repubblica.
“È con questo sentimento che ci siamo permessi di indirizzare questo pensiero al presidente Ciampi e al Santo Padre Benedetto XVI. Occorre che pur pagando quello che ognuno di noi deve pagare, ciascuno sia aiutato a guardare a una prospettiva e ricordatevi che, quando ci si rende conto del male fatto, non si vorrebbe più finire di scontare la pena e anche, quando la si è finita di scontare, il dolore che rimane nel cuore è grande. Non sono sentimenti comuni tra di noi, come pure quello che vedete oggi non è la normalità: è un piccolo grande esempio. Aiutate chi si rende disponibile ad aiutarci, aiutateci a trovare e a vedere una speranza. Ma ciò che dà consistenza alla speranza è il perdono, è la grazia, parola scomparsa da 10 anni nella dicitura del nostro ministero di riferimento.
Non ci è semplice dire questo.
Illustrissimo presidente, Sua Santità, a Voi tutti presenti, il nostro è un grido di aiuto. Si mobilita forse mezzo mondo per ricercare un disperso o salvare una persona in pericolo?”
(Oggi purtroppo non si salvano neanche 700 persone in pericolo, tra cui 100 bambini!)
“Credeteci, almeno una persona così in ogni carcere d’Italia c’è.
Senza alcuna pretesa e con gratitudine”.
Siamo certi, come succede in particolare per tutte le persone detenute che hanno ucciso, che è quando queste persone prendono coscienza di quello che hanno fatto (“quando ci si rende conto del male fatto”) che iniziano a scontare la vera pena, quella che non finisce più. Conosciamo personalmente persone detenute che tutte le notti si sognano la persona che hanno ucciso, in modo particolare se si tratta di un famigliare o della propria moglie, non osiamo immaginare se si tratta di un figlio. Nel caso di Denny non lo sappiamo, ma immagino che il suo piccolissimo Jason fosse sempre presente, una ferita impossibile da rimarginare.
Stava cercando di curare questa ferita, con grande fatica ed ancor più grande sofferenza, condividendo il cammino di altri colleghi ed amici, nel Gruppo R.
Il destino poi ha fatto sì che Denny nascesse il 25 dicembre (aveva ancora 41 anni e non 42), il giorno in cui il mondo ancora si ferma per ricordare la nascita di un bambino, pure Lui maltrattato ed ucciso.
Chissà come avrà vissuto ogni anno il suo compleanno, dove il Natale in carcere è un giorno dove tutto si ferma. Solo. Oggi che Denny non c’è più abbiamo l’amarezza nel cuore per non essergli stati un po’ più vicino, per non avergli dato un grande abbraccio, se non proprio il 25 dicembre, magari qualche giorno prima o dopo. Non siamo mai sufficientemente attenti l’uno nei confronti dell’altro.
Il 20 giugno alle ore 12 in carcere ci siamo fermati in oltre settanta persone, alcuni lavoratori dall’esterno e il resto di tutti i suoi “compagni di sventura”, compresi alcuni di loro che per 20 minuti hanno tentato invano di rianimarlo, e per un attimo ci sono riusciti, giusto il tempo di aprire gli occhi e di dire: “aiutatemi!”, l’ultimo grido di aiuto per poi spirare. Abbiamo detto un pensiero, abbiamo recitato delle preghiere, abbiamo fatto un minuto di silenzio come sempre facciamo perché ognuno preghi nella sua religione, a suo modo.
Abbiamo soprattutto letto quello che potremo dire il suo testamento.
Denny, dicevamo, partecipava all’attività di teatro terapia, attività che opera sul recupero relazionale a tre livelli: relazione tra sé e sé, con la propria interiorità, relazione tra sé e il gruppo e tra il gruppo e la comunità.
Un lavoro lungo di mesi che confluisce in un evento scenico. Nell’ultimo anno è stato proposto di lavorare sul passo biblico di Giona nella balena. Questo episodio evidentemente, rispetto alla propria storia personale, ha colpito in maniera particolare Denny, tanto da scrivere due mesi fa il testo che sarebbe divenuto il suo contributo nello spettacolo finale.
Lo riportiamo qui sotto come lascito per tutti, perché ciò che deve rimanere di ciascuno di noi è quello che una persona è oggi e non quello che la stampa con un banale e non professionale copia e incolla sbatte sulle pagine dei giornali.
Vogliamo concludere, prima di lasciarvi alla lettura, con un pensiero che per noi è una certezza. Siamo sicuri che la prima persona che Denny ha trovato in cielo ad accoglierlo è stato proprio il suo piccolissimo Jason. Non riusciamo neanche lontanamente ad immaginare come possa essere stata questa scena.
Ciao Denny, alla prossima.
Nicola Boscoletto, Maria Cinzia Zanellato, Nicoletta Regonati, Dario Dentella assieme a tutti i tuoi colleghi ed amici
–
Noi tutti possiamo avere una storia simile a Ionà.
Chi più, chi meno.
Quanto simile sia la mia storia a quella di Ionà, sinceramente non lo so.
Sta di fatto che anche io sono finito dentro una specie di ventre di balena…
per compiere un cammino che qualcuno voleva trasmettermi.
Inizio col dire che non è bello sentirsi ciechi sia nella vista e sia nel cuore.
cioè
il negare l’evidenza, l’omettere le responsabilità, il trascurare dei segni, mandati da chi sa chi, per condurmi in una nuova via.
Una cecità e una durezza di cuore che mi hanno portato su un percorso di distruzione
Ero cieco e sordo, l’unico linguaggio che conoscevo era quello del destino maledetto.
Una nube oscura è passata sopra la mia vita …. arrivando a farmi accettare cose che sono intollerabili per un essere umano.
Quelle decisioni mi hanno portato ad ignorare un richiamo interiore
e quando mi sono illuso che tutto poteva risolversi con una semplice scrollata di spalle,
eccomi inghiottito da un essere mostruoso come la balena di Ionà.
All’inizio fu davvero difficile vivere l’oscurità.
Regnava sovrana la disperazione di perdere la mia famiglia.
Odiavo tutto e tutti.
La prima persona che accusai fu il Signore, dicendo,
“Perché mai tutto questo a me?”
Mi sono allontanato da Lui.
Non so perché, ma:
ogni tanto risentivo quella voce dentro di me che mi chiamava,
ma continuavo a non capire cosa volesse da me.
ogni tanto vedevo apparire davanti a me delle braccia che volevano accompagnarmi nel mio cammino
ma non sapevo dove volessero condurmi….
Sentivo quella voce e percepivo quelle braccia,
ma ero perplesso, sfiduciato, dolorante
e loro continuavano ad indicarmi di seguire …
A chi appartenevano queste braccia?
Non avevo tempo per pensare a queste cose.
Non me lo permetteva il luogo ove ero recluso.
L’importante era cercare qualcosa a cui aggrapparsi per poter andare avanti.
Arrivò i1 giorno che dovetti soffrire di solitudine e di abbandono.
Sei mesi in cella di isolamento, il ventre della balena, mi hanno portato a riflettere sulle scelte sbagliate,
a riflettere sul mio percorso interiore.
Realizzai che la causa principale di tutto ero io.
Da irresponsabile non ho fatto nulla per impedire che accadesse il peggio.
A volte si pensa di agire nel bene per una giusta causa,
ma quella azione può provocare più danni di un intervento estremo.
Ho riflettuto molto su chi continuava a chiamarmi dal mio profondo.
Eri tu, la mia coscienza, l’unica e vera amica.
Mi avvertivi del pericolo a cui stavo andando incontro.
Sordo ero io, maledettamente sordo.
O non volevo sentirti? Non lo so.
Il pensiero si riversa verso quelle braccia che tendevano verso di me, per aiutarmi.
Gli aiuti inaspettati…
coloro che credevo essermi estranei si sono rivelati come amici.
Penso a quando, alcuni anni fa, il comandante degli agenti del carcere che,
leggendo la disperazione nei miei occhi, mi ha detto:
“Non disperare, avrai la possibilità di darti un’altra vita”
Amici che mi hanno accompagnato ad attraversare il buio della mia interiorità.
Sento dentro di me un’invisibile forza, una nuova energia.
Sento che a questo mondo potrò essere ancora utile, potrò fare del bene…in qualcosa.
Dopo tutto questo buio sei apparsa tu,
come la stella polare che indica la strada per casa.
Sei diventata una ragione di vita.
Oggi posso dire, respirando, che qualcuno, dall’Alto, mi ha aiutato ad uscire dall’oblio.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI